Appunti – Fuoco cammina con me

di Luigi De Santis


La bandiera del Nagorno Karabakh è messa lì in bella mostra sulla prua della carena, appena acquistata in un negozietto lì vicino al benzinaio insieme a una bottiglia d’acqua e qualche merendina per il rientro.

Guardiamo il cielo che si gonfia tetro di nuvole viola e nere. Andrea scrolla le spalle sconsolato, ci restano poche ore di luce e non ce la faremo mai a rientrare in Armenia, questa notte la passeremo qui a Martakert, uno sconclusionato agglomerato di case attraversato da un unico viale di breccia e fango, più in là l’unica piazza dei sempre presenti martiri e le immancabili carcasse di carri armati e mezzi militari abbrustoliti da qualche colpo di mortaio.

Strana la bandiera del Nagorno Karabakh con quel pezzetto staccato, una forbice a zig-zag l’ha reciso dall’Armenia e l’ha spostato poco più in là; ora è un’exclave armena nel territorio degli acerrimi nemici azeri.

Il dito sporco del benzinaio bussa tre volte sulla bandiera, poi con un orgoglio ancestrale si porta la mano al petto, bussa forte a far risuonare la cassa toracica di fierezza, non dice una parola ma quel suono sordo sul petto va oltre i nostri evidenti limiti linguistici.

L’altra mano del benzinaio stringe invece con forza la pompa e ancora con gli occhi piantati nei miei, distratto nel battersi il petto come a dirmi: «questa è la mia bandiera, la bandiera del Nagorno Karabakh», non si accorge che ormai il serbatoio è pieno e la benzina sta copiosamente strabordando.

Il prepuzio è un sottile strato di pelle che copre la parte terminale del pene, il glande. La sua speciale vascolarizzazione ne fa una zona estremamente sensibile non solo agli stimoli sessuali ma anche a una straripante fuoriuscita di benzina armena.

Ormai il serbatoio è pieno e la benzina sta copiosamente strabordando

Il dolore provato ha il colore del bianco incandescente e il profumo degli ottani. L’urlo ghiaccia il sangue del benzinaio che solo in quel momento stacca la mano dalla maledetta pompa. Schizzo via dalla moto che cade a terra, il serbatoio pieno oltre l’orlo è senza tappo e rigurgita benzina a grandi fiotti sul selciato.

Con i pantaloni già slacciati entro correndo goffamente nel negozio dove avevo acquistato la bandiera, mi fermo e chiedo un bagno alla signora della cassa mentre da dietro il benzinaio che mi seguiva mi frana addosso e cadiamo impacciati a terra.

Lo scalcio malamente, mi precipito in bagno e i pantaloni sono già a metà coscia mentre mi strizzo gli slip in cerca di acqua. Un lurido lavandino di latta attaccato a un muro scrostato, con una forza inaudita apro il rubinetto tanto da spanare la manopola che mi resta in mano.

Provo a togliere i pantaloni ma indosso ancora gli stivali da moto ed è un’operazione impossibile nonostante l’aiuto del benzinaio, che comunque mi dà una mano a tenermi in equilibrio con un piede nel lavandino e con le mani a concolina che freneticamente buttano acqua sui miei gioielli.

Dalla porticina del cesso fa capolino un povero signore che, spaventato dalla scena che gli si para davanti, si affretta a rientrare e chiudersi a chiave.

La scena sfuma sul volto attonito di Andrea. Lui totalmente all’oscuro di tutto e non avendo minimamente idea di cosa stesse succedendo si era affacciato in bagno. È rimasto lì, immobile, in silenzio, inespressivo. Non so se per pudore o per rispetto nei miei riguardi è andato via con un “Ti aspetto fuori”. Di questa cosa non ne abbiamo più parlato. Mai più.

Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 27