Appunti – Motociclismo antropologico

di Dario Tortora


«Ho sempre apprezzato la vostra rivista per le informazioni e gli spunti di viaggio, ma dopo aver letto nel numero 36 l’articolo in Tunisia “L’ultima zampata della volpe” a me personalmente è caduto un mito. Se le informazioni che ora pubblicate sono il numero di telefono di tale guida Farouk (che purtroppo abbiamo conosciuto) sostenendo il suo business esclusivo… non ci siamo! Un report che pubblicizza tale personaggio (…) non è secondo me corretto in quanto lo vedo come trappola per polli da spennare.

Voi parlate di costo accettabile, probabilmente avrete ottenuto uno sconto promettendo la pubblicazione della sua attività sulla rivista. (…) Interessante anche la nota su Rommel: info certamente utile, magari importante, ma personalmente sono dell’avviso che qualsiasi posto nel mondo ha le sue storie, le sue leggende magari basate su ben poca verità. Ma credo che, oltre a me, a tanti altri motociclisti poco importa sapere se Rommel è o non è passato di lì. Un motociclista esploratore ha bisogno anche di leggende, favole, storie per “costruire” il suo viaggio e sognare».

È interessante questa lettera da parte di Angelo giunta in redazione qualche mese fa. L’ho tenuta per un po’ a sedimentare nel cassetto virtuale del computer perché, essendo oltretutto chiamato in causa in prima persona, non sapevo bene come reagire.

Potevo confezionare una risposta per la rubrica delle lettere qualche pagina più avanti, calcando la mano sul corto circuito logico secondo cui non va bene farsi gabbare da un tunisino che sbarca il lunario, ma invece ha certamente senso farsi turlupinare da tour operator e youtuber che spacciano una decina di chilometri di strada sterrata come la pista fatta costruire dal leggendario Rommel in fuga dagli Alleati.

Però a mio avviso la questione merita un approfondimento da spendere in questo spazio, perché tira in ballo dei principi di fondo più importanti degli aneddoti spiccioli legati alle figure di Rommel e Farouk.

Una premessa importante, che serve per inquadrare la questione: ricordo che nell’articolo ho scherzosamente definito Farouk “la faina del deserto” e ho descritto quanto successo con un bel po’ di ironia pungente e senza risparmiare frecciatine al personaggio.

Posso assicurare che non c’è stato alcun accordo, manco sapeva chi fossimo e altro che sconto: abbiamo pagato la cifra piena e non avevamo neanche il tempo di contrattare, come si dovrebbe invece fare da quelle parti. Il succo della questione è proprio questo e parte da una domanda fondamentale: perché prendiamo la moto per viaggiare in Paesi stranieri?

Certo per i panorami, sicuro per il piacere di guida, senza dubbio per l’avventura e per il desiderio di mettersi alla prova. Può e deve esserci qualcosa di più, però, altrimenti non stareste leggendo questa rivista. Personalmente trovo importantissimo viaggiare all’estero anche per sperimentare in prima persona cosa si deve inventare la gente per tirare a campare.

Farouk si arrabatta accalappiando motociclisti all’ingresso del paesello per portarli in gita nel canyon? Sono contento per lui, che ha dimostrato un sano spirito imprenditoriale: con i miei 50 euro – per me poco più che due pizze e due birre – comprerà i libri di scuola per i figli oppure, meglio ancora, deciderà di spenderli come vuole.

Perché prendiamo la moto per viaggiare in Paesi stranieri?

Dal mio punto di vista, averlo visto in azione ben sapendo che quello che mi offriva non valeva la cifra richiesta, ha un valore inestimabile che supera quanto stampato sulla banconota. Quei momenti, come tutti i pretesti per attaccare bottone in terra straniera, sono attimi di solennità, un esercizio per allenare lo sguardo, un memento di chi siamo.

Guidare una moto in giro per il mondo è una delle poche attività che ancora ci costringe a entrare in contatto con gli sconosciuti. Tutto il resto ormai lo si può fare con lo smartphone barricati nella propria fortezza mentale, ma salendo in sella per metterci in strada dobbiamo abbassare il ponte levatoio.

Ed è lì, dopo il fossato, che inizia il bello: dove per molti non c’è “niente da vedere”, noi invece troviamo interi universi di vita. Spesso ci costano solo qualche decina di euro.

Editoriale pubblicato su RoadBook 40