di Donato Nicoletti
Ci sono momenti nella vita che cambiano, talvolta in modo rude, la rotta esistenziale di una persona. Spesso questi eventi hanno origine da un accadimento fortemente traumatico che genera risvolti psicologici e prospettive tutt’altro che positive.
In questi casi si può scoprire, inaspettatamente, di possedere risolute capacità analitiche e velocissime giunzioni sinaptiche, soprattutto se ci si trova nel letto di un ospedale davanti a medici che stanno prefigurandoti un futuro “menomato”. Succede a fine 2008 quando, a seguito di un incidente stradale, il mio piede sinistro resta schiacciato tra la moto e il paraurti dell’auto che mi ha investito prima che io decolli prendendo in pieno un albero con la faccia.
Le fratture all’orbita dell’occhio destro e al condilo mascellare sono poca cosa rispetto al piede sinistro, il quale è letteralmente esploso lasciando in bella vista ossa metatarsali, falangi e tendini vari. I camici bianchi non usano giri di parole nel paventarmi l’eventualità di amputare il piede nel caso una malaugurata infezione dovesse attaccare l’arto e, viste le condizioni, l’ipotesi non sembra poi così remota.
La prospettiva non mi attrae per niente, ci mancherebbe. Così, anziché farmi suggestionare dalle parole dei medici lasciandomi travolgere da uno tsunami paranoico depressivo, decido seduta stante di approfittare del momento negativo per ribaltare, in tutti i sensi, la mia vita.
Sono in un letto di ospedale, rischio di perdere un piede, ho un lavoro precario e ancora sette anni di mutuo da evadere; che faccio? Semplice; l’arto, seppur offeso, resterà con me perché quell’idea malsana che mi ronza in testa da anni, non avendo mai avuto il coraggio per metterla in pratica prima, ha trovato in questo momento buio la giusta scintilla per innescare la necessaria forza interiore che mi desse la spinta, il giusto abbrivio, per fare quello che mai avrei immaginato.
I camici bianchi non usano giri di parole
Trascorsi i necessari tempi di recupero e sistemate le questioni burocratiche, metto in affitto casa, salto in sella e parto, nel luglio 2010, in direzione est. Nei quattordici mesi che seguono attraverso il Caucaso, la Via della Seta, il Pamir, la Cina, il Karakorum, l’Himalaya e l’India, la Thailandia e buona parte dell’Indocina, il Giappone, la Mongolia e tutta la Russia, rimettendo le ruote in Europa dopo 60.000 chilometri vissuti con la piena consapevolezza che, per quanto la vita possa tagliarti la strada, la precedenza spetterà sempre a te.
Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 41