Ha aperto i battenti il 17 luglio scorso la mostra “Easy Rider, il mito della motocicletta come arte”, il cui obiettivo è trovare la relazione tra la moto come prodotto di design industriale e il suo radicarsi nell’immaginario collettivo fino a diventare un oggetto evocativo al centro del mito contemporaneo.
La Reggia di Venaria Reale è la location di questa esposizione che comprende una varietà di esemplari di varie epoche, perlopiù derivanti dalla produzione in serie (i pezzi unici sono pochissimi) che hanno in qualche modo influenzato la cultura mondiale del secondo dopoguerra. Le diverse sezioni della mostra offrono uno spaccato di cultura varia invitando a successivi approfondimenti personali: si inizia dalla pionieristica visione del design italiano per passare subito alla rivoluzione tecnologica giapponese degli anni ’70, due mondi legati dal comune obiettivo della moto per tutti.
La Vespa è sicuramente il più iconico dei progetti italiani, ma non mancano esemplari Bimota e MV Agusta. Le due ruote giapponesi, dal canto loro, hanno lasciato un segno indelebile nell’arte dei manga: come dimenticare la seducente Fujiko in tuta di pelle e le carenatissime due ruote di Akira? Nella sezione Mal d’Africa troviamo begli esemplari che hanno alimentato il sogno della Parigi-Dakar che, come avevamo indagato nel primo numero di RoadBook, ha alimentato il sogno di terre estreme e lontane di due generazioni di motociclisti.
Non di soli deserti e moto muscolose è fatto il viaggio: nella sezione Sì viaggiare troviamo anche la Vespa con cui il compianto Giorgio Bettinelli raggiunse Saigon partendo da Roma e che ha ispirato Pietro Porro, di cui abbiamo pubblicato un ritratto-intervista sul quarto numero a ripercorrere le sue tracce vent’anni dopo: cambia il mondo, ma l’indole è sempre quella.
Come dimostrato dalle sezioni dedicate alle moto inglesi, a cui si ispirano le moderne café racer, o quella dedicata al mito americano con le grandi cruiser. Persino tra le leggerissime moto da cross aleggia l’idea di libertà: da un abitacolo soffocante, dal traffico, dalla città e dalle convenzioni, verso un orizzonte indefinito e per questo affascinante. Un tema diventato urgente dagli anni ’60 in poi, quando la crisi dei valori consolidati impose la ricerca di nuove prospettive, non necessariamente costruttive. L’importante era andare, non importava dove.
Il cinema, prevalentemente statunitense, ha contribuito in larga misura alla costruzione del mito della libertà a due ruote. Non poteva quindi mancare una sezione dedicata al rapporto tra Moto e Cinema in cui, oltre alle cavalcature che hanno reso celebri i vari Brando e McQueen, vengono proiettati in loop spezzoni di pellicola degli ultimi sessant’anni da “Il selvaggio” fino a “Come un tuono”, passando per l’immancabile “Easy Rider”. Non poteva mancare “Captain America” il chopper su base Harley Davidson (o meglio, l’ultimo sopravvissuto dei quattro) usato da Peter Fonda nella pellicola da cui nacque tutto.
La mostra, organizzata e prodotta da Arthemisia, nasce dall’intento dei curatori di mettere in relazione il prodotto industriale con diverse opere d’arte. Troviamo quindi le moto, scelte da Stefano Fassone, in relazione diretta con le opere individuate da Luca Beatrice in un dialogo continuo tra opere irriproducibili e prodotti di serie dell’ingegno umano, un dialogo introdotto dai testi di Arnaldo Colasanti che spiegano e raccontano il perché di queste relazioni.
Non mancano alcune chicche come i dipinti di Paul Simonon – ex bassista dei Clash e appassionato collezionista di moto – e una serie di fotografie scattate un po’ ovunque e con diversi soggetti, da donne seminude a barbuti centauri. Qualunque sia la declinazione stilistica o la destinazione d’uso dei pezzi esposti, il trait-d’union è la sensazione di libertà col vento in faccia che solo due ruote e un motore possono offrire. Una mostra che consigliamo vivamente di visitare, soprattutto se accompagnata da una visita ai giardini della reggia.
La mostra “Easy Rider, il mito della motocicletta come arte” rimarrà aperta fino al 24 febbraio 2019.