“Perché non racconti su RoadBook il tuo viaggio in Cambogia?” Questo il messaggio che trovo in chat; inizio a ripensare allo scorso dicembre e a metter giù qualche idea. Che vi racconto della mia Cambogia? Se inizio a scrivere, so già che poi viene fuori il solito racconto di viaggio giorno per giorno con cento foto, ma mica va bene per la rivista.
di Cristiano Stolfa
Potrei iniziare ricordando la prima sera a Bangkok, quando ho tentato di intossicarmi ordinando un piatto dalle immagini del menu di carta plastificata di un baracchino di periferia, vedendomi arrivare dei gamberetti crudi, ma forse entrerei troppo nello specifico.
Potrei scrivere qualcosa di utile, ad esempio parlare delle pratiche d’ingresso nei diversi Paesi. La Thailandia è incredibilmente facile e organizzata, e per gli italiani non serve neanche il visto. La Cambogia è un po’ più folcloristica: i funzionari di frontiera all’aeroporto di Phnom Penh non sono propriamente simpatici e sembrano agire in modalità burocrazia sovietica, con uno che prende le foto, l’altro che incassa l’obolo, un altro ancora che mette visto e timbri, e il quarto che ti lancia addosso il passaporto pronto per essere presentato alla dogana.
Servirebbe anche spiegare come si noleggia una moto in Cambogia e descriverla, quella Honda XR250 Baja, che con quei fanaloni bella non è, ma tutto sommato una volta sistemata è robusta e riesce a fare il suo mestiere. Peccato che per accaparrarsela serva lasciar giù il passaporto come cauzione; per fortuna la signora di Angkor Motorcycles ha infilato il mio in una busta di plastica a mo’ di preservativo e questo mi ha fatto sentire più sicuro.
La moto è una Honda XR250 Baja: grandi fanali e apparentemente robusta
O ancora dovrei parlare dei tuk-tuk. In Asia sono importanti, ma in Cambogia non sono semplici Apecar col cappuccio, bensì un cinquantino qualunque – tipo il nostro vecchio Honda Wallaroo – con una carrozzina attaccata dietro e una tanica d’acqua appesa in qualche modo per raffreddare il motore.
Allora parliamo di Siem Reap. Tempo fa era un piccolo villaggio, ora è uno dei luoghi più visitati al mondo e viene preso d’assalto da turisti di ogni tipo, dai backpacker con gli elephant pants alle comitive in viaggio organizzato, dai radical chic in cerca di avventura, al gruppo di cinesi in gita. La sera vanno tutti a cena nella via principale della città, il cui nome è inequivocabile: Pub Street.
Siem Reap è la base ideale per la visita al complesso di Angkor Wat che, nonostante sia colmo dei turisti di cui sopra, sprigiona ancora un fascino enorme, con quella natura rigogliosa che ha cercato di riprendersi ciò che è suo, avvolgendo le mura degli antichi templi.
Siem Reap è la base ideale per la visita al complesso di Angkor Wat, che sprigiona ancora un fascino enorme
Però non so, questa mica è roba da motociclisti… Forse è meglio che scriva delle strade che ho percorso per passare da parte a parte i selvaggi Monti Krâvanh (letteralmente “Monti Cardamomi”) fino ad arrivare al confine con la Thailandia, con quei bambini che appena finisce l’asfalto e inizia lo sterrato esplodono in magnifici sorrisi e fanno ciao con la manina. Come in ogni Paese del mondo, la simpatia e apertura verso il viaggiatore sono inversamente proporzionali al numero di turisti di passaggio e appena si mettono le ruote fuori dalle rotte più battute si può godere del meglio delle persone.
L’apertura verso il viaggiatore è inversamente proporzionale al numero di turisti di passaggio
Poi la terra, quella terra rossa che ti si appiccica da tutte le parti, sulla moto, sulle mani, sui vestiti. Se riuscissi a far sentire quella terra addosso anche solo a un lettore, sarei entusiasta e avrei raggiunto il mio obiettivo.
Magari potrei buttar dentro anche di quella sera tra le montagne, quando il ristorante adiacente la nostra guesthouse, oltre a servire dei noodles decenti, svolgeva anche la funzione di sala TV e bisca clandestina per gli abitanti del villaggio. Darei un po’ di colore al racconto.
O magari dare qualche cenno storico citando il pepe di Kampot, che ai tempi delle colonie arricchiva le tavole francesi. Siamo arrivati al pepe, perché non il cibo dunque? Il crab market di Kep, dove i granchi vengono prelevati direttamente dal mare e cucinati nei wok, serviti in tavolacci all’interno del mercato stesso: il cibo è una cosa che interessa sempre il lettore.
Altrimenti qualcosa di più tetro ed evocativo, tipo la Stazione climatica di Bokor sui Monti Dâmrei, con il suo casinò abbandonato e l’adiacente chiesa, decisamente inquietanti soprattutto se, come è capitato a noi, si visitano sotto una pioggia tropicale di proporzioni epiche.
Mi piacerebbe fare anche una bella analisi sulle contraddizioni della capitale, con lo squallore dei tanti, troppi, turisti occidentali maschi soli che si aggirano nei locali sul lungofiume da una parte, e la bellezza dell’alba dall’altra, quando ogni spazio verde o aperto della città diventa una palestra e i cambogiani si esibiscono in affascinanti quanto bizzarre sessioni di aerobica di gruppo.
A Phnom Penh all’alba ogni spazio verde della città diventa una palestra a cielo aperto
Chiuderei tentando di farvi capire quanto mi è infine piaciuta Bangkok, nonostante allora fosse addobbata a lutto per la morte del re, coi suoi mercati e i suoi canali. Potrei raccontarvi… no dai, non vi racconto nulla che altrimenti viene fuori il solito racconto di viaggio giorno per giorno con cento foto, ma mica va bene per la rivista.
INFORMAZIONI
Durata del viaggio: 14 giorni (5 – 18 dicembre 2016), inclusi i voli e due giorni di visita a Bangkok.
Km percorsi: circa 1.300.
Moto: Honda XR250 Baja noleggiata presso Angkor Motorcycles per 15 dollari americani al giorno più 16 dollari per l’assicurazione.
Strade: asfaltate e sterrate, generalmente facili durante la stagione secca.
Patente internazionale: richiesta.
Visto: ottenibile in frontiera all’aeroporto per la Cambogia, non serve in Thailandia.
Quando andare: i mesi ideali per visitare la Cambogia sono dicembre e gennaio, quando il tasso di umidità è sopportabile, le temperature più fresche e le precipitazioni meno abbondanti. Da febbraio in poi il caldo è più opprimente e in aprile diventa insopportabile. La stagione delle piogge va da maggio a ottobre
Voli: Oman Air (Milano-Bangkok e ritorno con scalo a Muscat, 350 euro) e AirAsia (Bangkok-Phnom Penh e ritorno a 130 euro).