25.000 persone sono corse a provare la GS 1300 nel primo fine settimana di test ride, segno che il nuovo modello ha sicuramente intercettato l’interesse degli appassionati. Effettivamente il 1250 precedente aveva un fascino da mezzo postapocalittico, però rischiava di diventare la caricatura di se stessa. Ne abbiamo parlato con Christian Hahn-Wörnle, il designer della nuova BMW R 1300 GS.
di Dario Tortora
«Some people think design means how it looks. But of course, if you dig deeper, it’s really how it works» (Alcuni pensano che il design sia l’aspetto. Ma in realtà, a ben vedere, si tratta di come funziona). È una frase estrapolata da un’intervista del 2003 del New York Times alla buonanima di Steve Jobs, il cofondatore di Apple dotato di una loquacità agile e di un certo fiuto per le uscite a effetto e per gli apparecchi che funzionano bene.
Mi è tornata in mente scambiando due chiacchiere con Christian Hahn-Wörnle, il designer della nuova BMW R 1300 GS, in occasione di un incontro con la stampa alla House of BMW, lo spazio che la Casa ha aperto in via Monte Napoleone a Milano per celebrare il processo creativo del marchio nei vari ambiti in cui opera.
L’evento era solo uno dei tanti appuntamenti messi in campo dalla filiale italiana per il lancio del nuovo modello; la prova dinamica si è svolta qualche giorno dopo e qui vi raccontiamo come si comporta la moto in un’ottica viaggiereccia.
Il fatto che BMW abbia organizzato un incontro con la matita responsabile delle nuove forme della moto più venduta da tanti anni a questa parte dà la misura di quanto sia radicale l’evoluzione di questo modello, che ha colto un po’ tutti di sorpresa.
D’altronde va dato atto alla dirigenza BMW di avere sempre avuto voglia di guardare avanti e provare nuovi approcci – anche con il rischio di sbagliare – proponendo modelli dotati di forti elementi di rottura con il passato, sia in senso estetico sia meccanico.
Quando parla, Christian Hahn-Wörnle è appassionato e trasmette un entusiasmo contagioso. In qualità di designer usa gli stessi argomenti della frase di Steve Jobs in apertura, ricordando più volte il principio secondo cui è la forma che deve seguire la funzione e non il contrario (il famoso «Form follows function»). Siamo riusciti a prenderlo da parte per tre domande più dirette.
RB: Quali sono i principi che vi hanno ispirato e che linee guida vi siete dati per ripensare un modello così importante?
CHW: Dai primi bozzetti sono passati sette anni di lavoro perché all’inizio eravamo sicuri solo di una cosa: volevamo fare un grande passo in avanti lungo la linea evolutiva del modello, con un concept completamente diverso.
Abbiamo quindi deciso di partire dal classico foglio bianco iniziando col domandarci quale fosse lo spirito essenziale del GS. Volevamo certamente trasmettere un senso di sorpresa, ma non fine a se stesso. Soprattutto volevamo evitare un approccio evolutivo per abbracciarne uno rivoluzionario, mantenendo come punti fermi solo il motore boxer e la trasmissione a cardano.
Dai primi bozzetti sono passati sette anni
Abbiamo discusso di tantissime idee, molte belle e interessanti, ma come sempre la parte più difficile è stata togliere invece che aggiungere. Non vanno inoltre dimenticati tutti i necessari compromessi con il team di ingegneria.
Il nostro obiettivo era trasmettere all’osservatore le capacità dinamiche della moto e la maneggevolezza di guida: pensiamo di esserci riusciti riducendo la complessità visiva. Non si è trattato di fare una moto “bella” ma di voler comunicare delle precise scelte tecnologiche, in questo caso i valori di leggerezza e agilità del nuovo modello.
È stato anche importante far sì che tramettessimo un messaggio univoco al di fuori dei singoli componenti, ovvero che la moto non venisse identificata per qualche particolare e basta, ma che rimanesse un oggetto uniforme, completo, semplice da guardare nonostante la complessità tecnologica. Ecco che si spiegano le superfici visivamente raccordate, le tensioni delle linee, la quasi totale assenza di viti a vista.
Sulla GS 1250 si erano accumulate tante idee negli anni, con il risultato di una moto certamente riconoscibile ma sempre più pesante e complessa. E a risentirne non eravamo solo noi di BMW, ma pensiamo l’intero mercato delle moto adventure. Con questa nuova generazione abbiamo voluto invertire la tendenza.
Semplice da guardare nonostante la complessità tecnologica
RB: Come avete tradotto questi principi nella progettazione?
CHW: Dal nostro punto di vista si è trattato di progettare un pacchetto di elementi strutturali che poi hanno contribuito allo stile della moto. Abbiamo iniziato dagli aspetti funzionali dedicati all’ergonomia (rumorosità, protezione aerodinamica, vibrazioni ecc.) e il risultato è una moto più appiattita, con una linea unica fra la sella e il serbatoio: un’estetica tipica delle moto da rally che contribuisce tantissimo al senso di dinamismo.
Abbiamo prestato attenzione anche alla modularità, in modo da poter offrire ai clienti tante combinazioni per permettere a chiunque di cucirsi addosso la moto come preferisce.
Prendiamo ad esempio la parte posteriore, che è un po’ la quintessenza di questo concetto: il codino può essere allestito leggerissimo e quasi invisibile, nel più puro stile off road, oppure arricchito di tutti quei dettagli utili al comfort sulle lunghe distanze, ad esempio per chi viaggia spesso con il passeggero, le valigie e il bauletto.
La GS 1250 era un conglomerato di pezzi, ora ogni componente è stato posizionato nel modo più efficiente possibile per farlo dialogare con il resto della moto. Guardate il terminale di scarico: siamo riusciti a farlo così piccolo – una rarità di questi tempi viste le sempre più stringenti normative antinquinamento – perché è presente un presilenziatore sotto il motore.
Se guidando la nuova GS 1300 si percepisce una grande maneggevolezza è anche merito del design, che non va inteso nel senso di “bello” ma di funzionale a uno scopo.
RB: Veniamo all’aspetto più discusso, il nuovo faro a X…
CHW: Il gruppo ottico è un buon esempio di quanto detto finora: avremmo certamente potuto mantenere lo stile asimmetrico del vecchio modello, ma dobbiamo ricordare che era così per un motivo squisitamente funzionale.
Ora abbiamo la tecnologia per combinare gli anabbaglianti e gli abbaglianti in un’unica lente, per un pacchetto più semplice e compatto che risponde perfettamente ai nostri obiettivi di alleggerimento visivo. Mantenere due lenti asimmetriche non avrebbe avuto alcun senso dal punto di vista tecnico e quindi sarebbe stato un falso ideologico.
Il faro vero e proprio è solo la parte centrale, che si occupa di anabbaglianti, abbaglianti e luci cornering; i bracci della X sono le luci diurne, i cosiddetti DRL, e va tenuto presente che abbiamo anche dovuto ricavare lo spazio per il radar anteriore.
La X è un elemento tipico del mondo off road ed è anche immediatamente distinguibile. Siamo sicuri che diventerà in breve tempo un forte elemento distintivo.
Due lenti asimmetriche sarebbero state un falso ideologico