Appunti – Terra incognita

di Dario Tortora


Terra incognita o terra ignota era un termine utilizzato a partire dal XVI secolo per indicare in cartografia un’area sconosciuta ancora inesplorata; l’equivalente sulle mappe francesi dell’epoca era Terres inconnues mentre su quelle inglesi si trovava Parts Unknown.

Se ci pensate sono tutte sfumature dello stesso concetto e rappresentano un enorme passo avanti rispetto al minaccioso Hic sunt leones che si usava al tempo dei Romani: questi ultimi indicavano un territorio da cui era meglio stare alla larga, vista la probabile malaparata con gli agguerriti felini eletti a simbolo di quanto fosse mostruoso quello che non era conosciuto.

Secoli dopo, al contrario, gli esploratori impegnati nelle prime circumnavigazioni del globo erano più attirati dall’idea di riempire le parti ancora vuote delle mappe: sapevano che c’era qualcosa che meritava di essere scoperto, andava semplicemente svelato.

Avanti veloce e arriviamo ai giorni nostri. Ovunque nel mondo possiamo sapere con precisione centimetrica dove ci collochiamo nei dintorni grazie alla rete satellitare GPS e a uno strumento che teniamo in tasca tutto il giorno; possiamo dialogare con sconosciuti in qualsiasi lingua utilizzando sistemi di traduzione istantanea e sentirci tutte le volte che vogliamo con parenti e amici rimasti in un altro continente. Il mondo è letteralmente a portata di mano.

Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke affermava che il turismo di massa sarebbe stata una delle precondizioni per porre fine alle guerre; erano i tempi della guerra fredda e postulava che, nel momento in cui un milione di americani si fosse trovato in Unione Sovietica e viceversa, sarebbe stato sconveniente per ambedue le fazioni attaccare l’altra.

Clarke purtroppo non è più fra noi, altrimenti lui stesso avrebbe voluto integrare la sua predizione con dei distinguo. Forse il turismo di massa – inteso non con l’accezione negativa che si porta dietro – porrà veramente fine alle guerre, più probabilmente no, ma sicuramente immergerci nelle terre incognite ci costringe ancora oggi a riempire i fogli bianchi delle nostre cartografie mentali.

Allora quando arriva il momento di preparare un viaggio in moto, ricordiamoci di non pianificare tutto nei minimi dettagli. Non dobbiamo avere la pretesa di riempire ogni minuto correndo fra un tempio e un museo, calcolando preventivamente i chilometri, le ore, i litri di benzina e sgobbando poi per mantenere la tabella di marcia. Come se in viaggio si fosse alla catena di montaggio o alla scrivania in ufficio, schiavi del tempo durante l’anno e anche durante le vacanze.

Riempire i fogli bianchi delle nostre cartografie mentali

Il viaggio in moto è un bagno di sensazioni, non un foglio elettronico per la produttività turistica. Meglio allora rinunciare a visitare tutto per forza e capire di più, magari chiacchierando con la gente del luogo attardandoci al tavolino di un bar. Lasciamo scientemente degli spazi vuoti sulla mappa, così da poterli riempire strada facendo.

Editoriale pubblicato su RoadBook 35