di Dario Tortora
Questo numero di RoadBook si chiude con il profilo di Silvia Giannetti, una ragazza che dalla sua tabaccheria di Grosseto è arrivata – unica donna italiana – a portare a termine la Dakar, salendo pure sul podio in un paio di occasioni. Non c’è riuscita in virtù di qualche vantaggio di genere, ma con una miscela virtuosa di allenamenti, testardaggine, preparazione atletica e attitudine mentale.
Un passaggio della bella intervista mi ha particolarmente colpito: «Da donna motociclista posso dire che mettersi in competizione con gli uomini, dover dimostrare di essere capaci, dipingersi come delle eroine è assolutamente controproducente perché si dà priorità all’apparenza, con il rischio di far sentire inadeguata chi non si ritrova in quella narrazione. Non ha senso dire al mondo di essere in viaggio da sole quando non è vero, non ha senso descrivere in modo esasperato le proprie esperienze. La partecipazione femminile al mondo motociclistico va incoraggiata e stimolata in modo costruttivo».
Sono parole che in redazione sottoscriviamo appieno ed è il motivo per cui tra queste pagine non troverete mai concetti arcaici e irritanti come “l’angolo delle donne” e simili amenità. Inscatolare in una rubrica il punto di vista del motociclismo al femminile, ormai ampiamente sdoganato e con una sua sensibilità e approccio al viaggio, sarebbe mortificante innanzitutto per le donne stesse.
Al contrario diamo spazio a narrazioni al femminile ogniqualvolta troviamo le condizioni per noi essenziali perché dell’inchiostro si poggi sulla carta: un approccio curioso che porti a esplorare nuove realtà, la passione di voler raccontare il mondo, il rispetto di un’unica regola, ossia garantire lealtà e onestà intellettuale verso i lettori.
È quindi una piacevole coincidenza che le pagine che seguono siano ricche di contributi femminili: Claudia Gonnella e Gaia Gramantieri ci raccontano rispettivamente degli eventi 20.000 Pieghe e Wonder Italy, Nadia Giammarco ci porta a scoprire una zona del Lazio poco battuta, mentre Eleonora Filon ci invita ad addentrarci nella parte centro-settentrionale della Romania.
Un’unica regola: garantire lealtà e onestà intellettuale verso i lettori
Approfitto del privilegio di questo spazio per spezzare una lancia in favore del Paese centro-europeo, che merita di essere visitato in moto anche e soprattutto fuori dalle ampiamente sopravvalutate strade Transfăgărășan e Transalpina, più trafficate di un parcheggio dell’Ikea il sabato pomeriggio.
Le corde che la Romania sa toccare meglio sono quelle bucoliche, paesane e contadine, un po’ malinconiche e anche un po’ cialtrone, ma sempre con grande simpatia. Non troverete grandi cose, ma starete benissimo. È grande quasi come l’Italia e gli abitanti sono meno di un terzo; abbondano quindi zone naturali, foreste, riserve, dove si sta larghi ed è un piacere far scorrere le ruote.
È facile incontrare romeni che hanno lavorato in Italia e che sanno benissimo la nostra lingua, anzi saranno proprio loro stessi a riconoscervi e ad apostrofarvi in italiano. Ci potranno essere momenti di imbarazzo causato dai danni cagionati dall’insopportabile razzismo di alcuni italiani e potreste percepire un velo di amarezza, che però sparirà appena dimostrerete curiosità verso il loro Paese e le sue ricche tradizioni.
Sono gli aspetti umani di un viaggio, che valgono molto più della paccottiglia per turisti legata alla figura del conte Dracula.
Editoriale pubblicato su RoadBook 32