Appunti – La forza della fede

di Donato Nicoletti


Il mondo dei motociclisti è ricco di personaggi stravaganti, eccentrici, risoluti o sopra le righe. Quello che incontrai a Bali nel 2011 si muoveva sempre sopra le righe, di alcaloidi, durante la sua “prima vita”.

Sudhana Lokantara, conosciuto come Lolot, nasce da una famiglia di credo induista. Egli cresce apprendendo l’arte di arrangiarsi, soprattutto quando negli anni Settanta oltre ai turisti sbarcano sull’isola indonesiana sostanze intriganti ma illegali.

In poco tempo Lolot diventa uno dei personaggi di spicco e tra i più ricercati, anche dalla polizia, per la sua inesauribile disponibilità di cocaina. In continua escalation sociale, diventa anche guardia del corpo del figlio del dittatore Mohammad Suharto. Ciò gli permette di maramaldeggiare in sella alla sua Harley-Davidson, ma non di evitare il carcere dopo aver accoltellato due turisti australiani.

I tre anni di galera segnano la morte e la rinascita di Lolot: si converte al protestantesimo ed entra in seminario una volta scontata la pena. Dopo gli studi teologici e il volontariato in Brasile Lolot torna a Bali, dove ha lasciato una moglie, cinque figli e due Harley-Davidson, le uniche cose che ha conservato della sua vita precedente.

Ricomincia da capo con un’altra veste, quella talare di sacerdote, spiazzando chi lo conosceva per i suoi torbidi trascorsi e guadagnando la stima e il rispetto della gente. Quando gira per strada con il suo Flathead del ’49 o con lo Sportster del ’62, nessuno perde occasione di salutarlo riconoscendogli un profondo rispetto.

Una moglie, cinque figli e due Harley-Davidson, le uniche cose che ha conservato della sua vita precedente

Si dice che l’abito non fa il monaco perché non sempre ciò che si vede corrisponde alla realtà, perché non si conoscono la storia, gli errori e i patimenti che una persona può aver vissuto durante la propria esistenza. E nemmeno la sua forza d’animo.

Un po’ come quando si sorride alla vista di una moto ipoteticamente inadatta a un viaggio impegnativo, magari di piccola cubatura e con pochi cavalli, conciata come se dovesse attraversare mezzo mondo per raggiungere l’Himalaya o la sterminata Siberia. Sembrerebbe una ridicola bizzarria dall’esito scontato ma, anche in questo caso, l’apparenza negativa può nascondere una “fede” granitica capace di superare le più grandi avversità e di affermare che il pregiudizio non sempre ha la sua ragion d’essere.

Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 32