Appunti – Il motocarro del Fendo

di Marco Manzoni


Arrivava con un leggero stridio di freni accompagnato dal suo tum… tum… tum… Si fermava fuori dal cancelletto d’ingresso di casa che dava sulla piccola area davanti ai due gradini del negozietto di fruttivendolo dei miei.

Il motocarro del “Fendo” (Nino all’anagrafe) arrivava regolarmente per rifornirci di frutta e verdura e, dopo aver aspettato che mia madre avesse sbrigato le questioni di affari, io ero sempre lì, pronto ad aspettare la fatidica frase: «Vieni a fare un giro?».

«Sì sì! Mamma posso?» e penso che la mia faccia cambiasse immediatamente espressione. Mi sedevo sul seggiolino laterale ed ero contento nel vedere quell’omone che pigiava sulla pedivella con tutto il peso del corpo per far “sorgere” nuovamente quel tum… tum… tum… così lento all’avvio che potevi contarne gli scoppi.

Si fermava nei negozietti dei tre/quattro paesini successivi mentre io lo aspettavo in cabina. Quando capitava che si soffermasse un po’ più a lungo, tornava con un gelato oppure un frutto per me (le merendine non esistevano ancora) per rassicurarmi che avrebbe fatto in fretta. D’estate poi mi permetteva di stare nel cassone raccomandandomi di stare sempre seduto e attaccato… mi piaceva un sacco!

Il negozietto dei miei è stato il primo nel paesello ad avere il gelato e, siccome non c’erano ancora i frigoriferi, il “Fendo” forniva anche il ghiaccio che trasportava sul motocarro, coperto da sacchi di iuta. Il ghiaccio si metteva intorno ai contenitori del gelato e a sua volta dentro una botticella. Oltre al gelato vendevamo anche la crema di nocciola servita a cucchiaiate nella carta. Il cucchiaio era sempre lì e ogni tanto…

Infine, la famiglia Fendo aveva prestato dei soldi ai miei genitori per costruire casa e mia mamma, pian piano, li restituiva tenendo lei stessa i conti. Quando fu l’ultima rata lo comunicò a Nino che senza alcun problema ne prese atto. Altri tempi.

Quel tum… tum… tum… così lento all’avvio che potevi contarne gli scoppi

Mi piace pensare che sia nata così la passione per i motori, e per le moto, di mio papà: come in questo suo racconto, nel contesto di un paesello di provincia, tra persone sincere e motocarri che regalavano libertà. Fortunatamente questa passione è cresciuta negli anni portandolo in sella a diverse moto, tra cui la Moto Guzzi 1000 SP del 1983 che possiede e guida ancora regolarmente.

Quando ero bambino ci andavamo in tre e io mi addormentavo tra i miei genitori, cullato dalle vibrazioni del bicilindrico. Ricordo anche le volte in cui indossavo il mio casco di plastica giallo – un aggeggio che oggi farebbe rabbrividire anche il più lasco dei protocolli di omologazione – mi arrampicavo sulla moto di mio papà sedendomi davanti tra sella e serbatoio e lui mi portava a scorrazzare per le strade di campagna per farmi assaporare quel senso di gioia e libertà che ancora oggi mi fa emozionare ogni volta che salgo in sella.

Tutto questo mi ha contagiato. E quando oggi guardo gli occhi di mia figlia mentre a sua volta si arrampica sulla mia moto per fare «brum brum» con l’acceleratore, capisco che la storia, probabilmente, si sta per ripetere.

Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 33