Site icon RoadBook

Around Gaia, intraprendere un viaggio di sola andata

Around Gaia, Ivana ammira canyon

Around Gaia

Tappa italiana presso la sede GIVI per Ivana e Manu, i due giramondo dietro al progetto Around Gaia. Li abbiamo intervistati per scoprire che si possono attraversare sei continenti anche senza alcuna pianificazione.

di Dario Tortora


L’inizio di questa storia è già un bell’esempio di melting pot europeo, una sorta di anteprima di quello che sarebbe avvenuto in seguito. Manu Torres è spagnolo di Sevilla, Ivana Colakovska macedone di Skopje e si conoscono nel 2009 sulle spiagge di Mykonos, in Grecia. A differenza di quel che si potrebbe pensare non sono lì in vacanza, ma sbarcano il lunario vendendo collanine e bracciali ai turisti, quel che basta per raggranellare i soldi necessari a fare dei viaggi zaino in spalla nel sud-est asiatico. Nel 2011, in occasione di un viaggio in India, acquistano una vecchia Royal Enfield, più per curiosità che per convinzione, e fanno così la loro prima esperienza di viaggio in moto.

Da lì la folgorazione. Tornano in Europa e a suon di collanine riescono ad acquistare una robusta Yamaha XT 660 Z Ténéré. Nel 2013, senza preparazione, programmi, attrezzatura o equipaggiamento tecnico, partono da Sevilla per un breve giro del Marocco, utile come palestra per capire a cosa sarebbero andati incontro. Lui aveva superato l’esame della patente poche settimane prima.

Dopo questa parentesi di rodaggio, senza alcuna esitazione o ripensamento puntano le ruote verso est e decidono di partire per il giro del mondo. Gli unici punti fissi del loro progetto: visitare tutti i continenti, toccare i tre punti considerati irrinunciabili (Uluṟu in Australia, Ushuaia in Argentina e Deadhorse in Alaska), non darsi una scadenza, risolvere ogni imprevisto sul posto, non dormire mai in albergo cercando piuttosto l’ospitalità dei locali anche come occasione di approfondimento e incontro; infine, non fare uso di GPS o mappe geografiche, preferendo affidarsi anche qui alle indicazioni della gente del posto.

Le premesse erano abbastanza estreme, qualcuno (non noi) direbbe da incoscienti, eppure l’entusiasmo e la determinazione l’hanno avuta vinta. Dopo quattro anni, 59 nazioni, sei continenti e 150.000 km i due avventurieri sono tornati in Europa. Faranno una pausa a Sevilla per poi ripartire, questa volta alla scoperta del vecchio continente. GIVI li ha intercettati quando erano ancora in Sud America e ha deciso di sponsorizzarli equipaggiando la moto con valigie rigide Trekker Outback, borse morbide waterproof, barre paramotore, faretti supplementari e altri accessori per migliorare comfort e sicurezza.

RB: Ivana e Manu, iniziamo dalla domanda che vorrebbero farvi tutti, anche se non è la più intrigante: come vi siete finanziati? Le malelingue sono sempre pronte a sostenere che dietro ci sia il lascito di qualche parente…

AG (sta per Around Gaia visto che risponderanno sempre entrambi, talvolta completandosi a vicenda): Difficile a credersi, ma il nostro budget quotidiano era intorno ai 20 dollari; la spesa più impegnativa è stata il trasporto della moto in nave dall’Australia al Cile e poi da New York a Johannesburg in Sudafrica, con i relativi biglietti aerei per noi. Per il resto non abbiamo mai pagato per un alloggio: tenda a parte, siamo stati quasi sempre ospiti di famiglie locali e abbiamo dormito in edifici religiosi, scuole, stazioni di polizia. Stesso discorso per il cibo: quando non eravamo ospiti abbiamo mangiato tantissima frutta e verdura, che in giro per il mondo costano veramente poco.

Non abbiamo pagato neanche gli ingressi ai musei o ai parchi nazionali, perché siamo sempre riusciti a contrattare con il direttore uno scambio di visibilità per la struttura stessa con foto e articoli su riviste e social. Lo stesso per i tagliandi alla moto o il cambio degli pneumatici: abbiamo avuto la fortuna di incontrare persone che avevano sentito parlare del nostro progetto e quindi erano felici di aiutarci in cambio di un po’ di promozione per la loro realtà. Ovviamente non basta risparmiare: per coprire le spese abbiamo iniziato a documentare le nostre esperienze, fotocamera e computer alla mano, inviando articoli alle riviste e gestendo la nostra pagina Facebook e ora anche un sito dedicato.

RB: Da un punto di vista burocratico e linguistico, invece, quali sono state le difficoltà maggiori?

AG: Niente di irrisolvibile, ma spesso c’è voluta molta pazienza e un’attitudine positiva, considerando che siamo partiti senza alcuna pianificazione e quindi senza vaccini, visti, permessi. In linea generale il passaporto europeo di Manu è stato più versatile rispetto a quello macedone di Ivana, che oltretutto non poteva contare su una buona rete di ambasciate e consolati in caso di necessità. Per quanto riguarda le lingue, con lo spagnolo siamo riusciti a farci capire in buona parte del mondo e quel po’ di russo che sa parlare Ivana è stato utile in Asia centrale; per il resto, con un bel sorriso e il linguaggio del corpo ci si fa intendere ovunque.

RB: Quanto avete impiegato a decidere di partire? I familiari come l’hanno presa?

AG: La decisione è stata spontanea e l’abbiamo maturata insieme in modo naturale. C’è da considerare che senza casa, figli, animali domestici, neanche un conto in banca da chiudere, certe cose sono probabilmente più semplici. All’inizio i parenti l’hanno presa bene, anche perché pensavano stessimo via poco più di un anno; quando hanno realizzato la portata di quello che stavamo facendo è seguita una fase di preoccupazione, poi si sono rasserenati e ora sono contentissimi. Ivana in Macedonia è considerata alla stregua di una celebrità!

RB: Ci sono mai stati momenti in cui vi siete detti “basta, molliamo tutto e torniamo a casa”?

AG: Mai. Abbiamo avuto tantissimi momenti difficili, ma il viaggio non è mai stato messo in discussione.

RB: Qualche esempio?

AG: Molte difficoltà le abbiamo incontrate all’inizio perché eravamo veramente male equipaggiati. Ivana, per dire, non aveva neanche i guanti e ci siamo trovati poco dopo la partenza a quasi 5.000 metri di altitudine sulle montagne del Pamir, in Tagikistan, con temperature che toccavano i 20 gradi sotto zero. Oppure quando ci è capitato un brutto incidente in Patagonia, che ha costretto Ivana a subire un intervento chirurgico alla gamba. Oppure ancora la corruzione e la delinquenza spicciola nelle grandi città in Sud America.

La nostra filosofia, però, è sempre stata di affrontare i problemi quando capitano. La cosa più importante è non avere paura e conservare un’attitudine positiva. Viaggiando in moto i rischi ovviamente ci sono, ma dover fronteggiare qualche problema ogni giorno insegna anche ad accettare le cose come vanno e a minimizzare certe questioni.

RB: Condividere tutti i giorni la stessa sella non dev’essere facile. Ci sono stati momenti di screzio?

AG: Abbiamo litigato, o meglio discusso, tutti i giorni. Questa esperienza, però, ci ha fatto crescere tantissimo a livello emotivo e abbiamo imparato a conoscerci meglio. Sia a conoscere noi stessi, come maturazione, sia a capirci a vicenda.

RB: Il mondo, alla fine, è grande o piccolo? Si è portati a credere che, avendolo girato, si rimpicciolisca.

AG: In realtà è il contrario: più viaggi, più scopri quanto sia grande. C’è tantissimo da vedere e da scoprire. Per non parlare delle persone: non abbiamo mai trovato porte chiuse e tutti ci hanno aiutato nel limite delle loro possibilità.

RB: Se uno avesse a disposizione solo un paio di mesi, e non anni come voi, dove gli consigliereste di andare?

AG: Difficile rispondere, è molto soggettivo. Sicuramente in Sud America o in India, ma quest’ultima è un’esperienza estrema per una serie di motivi e quindi servirebbero altri due mesi di recupero al rientro!

RB: Progetti futuri?

AG: Abbiamo tantissime foto e parecchio materiale video. Ci piacerebbe fermarci un po’ per riordinarlo e pubblicare qualcosa di organico, probabilmente un documentario che consenta di far conoscere la nostra esperienza. Qualcosa bolle in pentola, ma è presto per parlarne. Sicuramente vogliamo tornare in sella.

RB: Manu, ora una domanda solo per te; Ivana per favore non rispondere. Avresti fatto lo stesso viaggio da solo?

(Lei arrossisce e gli lancia un’occhiata che non lascia dubbi. Lui però non ne ha bisogno, perché inizia a rispondere a bruciapelo senza fermarsi a riflettere.)

Manu: Non riesco neanche a immaginare una cosa del genere, non ho mai viaggiato in moto da solo. Siamo partiti insieme e ormai siamo in simbiosi. Senza di lei mi perderei troppe emozioni… è proprio una domanda senza senso!

Ivana: Invece è una delle domande più belle che ci abbiano mai fatto.

Li salutiamo augurandogli buon proseguimento, consapevoli del fatto che non era bella tanto la domanda, quanto la risposta.

Exit mobile version