Navigazione con il GPS, ricordando quando non c’era

Oggi siamo talmente abituati a usare le tracce GPX, per orientarci, che facciamo fatica a ricordare come facessimo prima che inventassero la navigazione satellitare.

di Mario Ciaccia


Sono figlio d’arte. Mio padre era un ingegnere e in casa faceva un sacco di lavori manuali. Era normale vederlo arrangiarsi con gli attrezzi per risolvere i problemi di guasti e usure varie. Mia madre, invece, lavorava con i computer negli anni ’60, al Centro Calcoli di Bologna. Già nel 1985 smanettavo su un Commodore 64.

Ne hanno venduti 17.000.000, di questo coso, eppure qualcosa è andato storto. Non ho ereditato alcuno dei loro geni. Sulla moto non so fare niente, se solo si svita uno specchietto mi va il cervello in pappa.

Ed è assurdo, dato che amo andare da solo in luoghi selvaggi. Quando dicevo ai miei amici “Ho un Commodore 64” e loro domandavano “Cos’è? A cosa serve?” rispondevo “Non ne ho idea, me l’ha preso mia madre, ne parla come se fosse l’invenzione del secolo”.

Ogni tanto, però, sono costretto a dover imparare a fare cose con i computer e quella che più mi interessa è la costruzione di percorsi in fuoristrada da immettere nel GPS. La maggior parte delle persone che conosco si fa passare le tracce dagli altri, oppure sfrutta gli eventi adventouring.

Mentre a me piace immaginare di andare da A a B su strade non asfaltate e, quindi, sono stato costretto a imparare a usare i programmi tipo Garmin BaseCamp, OpenMTBMap e Google Earth. Lo faccio anche adesso che ci sono app micidiali come WHIP, che in tre secondi fanno tutto loro.

Ma io il GPS ce l’ho soltanto dal 2006: ho iniziato con un Garmin GPSmap 60 che considero un capolavoro di design e uno dei balocchi di massima goduria mai avuto, per le cose che mi ha permesso di fare.

Però pratico la ricerca dei percorsi in fuoristrada dal 1986, cioè da quando, dopo due moto da strada, comprai la mia prima enduro. Beh, 40 anni dopo mi sembra impossibile che io riuscissi a trovare tante strade senza la tecnologia satellitare.

Le mappe dettagliate con su le strade sterrate, tipo Kompass o Tabacco, erano limitate alle Alpi e agli Appennini, e neanche per intero. Io identificavo le zone selvagge sulla mappa al 200.000 del TCI, che era disegnata così bene che ti faceva capire se era una zona non antropizzata e se c’erano montagne. Vi mostro alcuni esempi.

La Pineta di Appiano Gentile (CO). Era evidente che fosse piena di sterrate. Ci sono andato in bicicletta, lo scopo era andare da Carbonate a Binago. Ho posteggiato la Fiat Duna a Carbonate, ho girato per il paese, ho trovato una sterrata, l’ho presa, era molto accidentata, aveva anche diversi guadi.

Ho incrociato altri sentieri, ho seguito quella che, a naso, era la direzione nord. Dopo quattr’ore ne sono uscito, ho trovato un grosso paese, era sicuramente Binago. Ho girato a caso in cerca di un bar per fare merenda e festeggiare la riuscita della traversata… e ho trovato la mia Duna parcheggiata.

Inconfondibile: ero l’unico al mondo ad avere avuto il coraggio di comprare quell’auto, non poteva essere che la mia. Senza accorgermene, avevo fatto un anello ed ero tornato a Carbonate… La volta successiva tornai con una bussola. Ma questa cosa di essere convinto di stare andando da A a B, mentre invece è da A ad A, m’è successa anche costeggiando il fiume Ticino, per colpa della nebbia.

identificavo le zone selvagge sulla mappa al 200.000 del TCI

Monti Picentini in Campania: guardando la mappa vedevo delle macchioline bianche e mi sono fatto l’idea che fossero tanti piccoli altopiani, sperando che fossero percorsi da strade sterrate.

Aspettavo l’occasione di andare giù a verificare. Poi m’è capitato di passarci sopra in aereo, ne ho avuta la conferma. E così, appena è stato possibile, ci sono andato in moto, facendo una traversata memorabile da Battipaglia al Piano Laceno.

Una cosa che mi sconvolge è quanto poco la gente guardi il panorama dal finestrino dell’aereo (sopra, i miseri resti del ghiacciaio del Grimsel, in cima alla val Formazza, agosto 2022). Certo, tra i pezzi in mare aperto e quelli sopra le nuvole spesso non c’è niente da vedere, ma non avete idea di quanti percorsi fuoristrada abbia scoperto da lassù.

Tengo il GPS acceso, scatto foto come quella sopra, confronto l’ora del GPS con quella della fotocamera e poi esploro l’area distante tra gli 8 e gli 11 km dalla traccia. Perché quello che, dal finestrino, sembra sotto di noi, in realtà è compreso tra quelle distanze, a seconda della quota di volo.

Qua stavo volando tra Catania e Milano, tra l’Etna e Messina. Ho visto a occhio nudo le sterrate delle pale eoliche e le ho fotografate. Ingrandendo le foto, son saltati fuori quelli che sembravano villaggi agricoli fatti con casette a schiera, tipo quelli abbandonati in Basilicata. Ho provato a disegnare un percorso, con Photoshop, direttamente sulla foto.

Ho studiato un percorso con Google Earth, Google Street View e OpenMTBMap. Ho capito che quello è il monte Paulera, alto oltre i 1.200 m. Poi ho disegnato la traccia con Garmin BaseCamp. Ma non sono ancora andato a provarla… Milano non è così vicina alla Sicilia. Quando i tempi saranno maturi, dovrò prima cercare di capire se è un percorso legalmente aperto al traffico o meno.

Coast to coast senza GPS

Nel 2002 ho comprato la Suzuki DR-Z400S e mi piaceva così tanto usarla che ho proposto agli amici di fare la traversata Civitanova-Civitavecchia. Il pretesto è che i due nomi erano simili ma esprimevano concetti opposti. Inoltre una delle due città si trovava sulla costa adriatica e l’altra su quella tirrenica.

Si trattava di un coast to coast strepitoso perché, osservando la mappa del TCI al 200.000, si poteva fare collegando tra loro svariati altopiani, carsici e non, come il Pian Grande di Castelluccio di Norcia, il Piano di Cascina, il Piano del Rascino, Camposecco, Campobuffone… A parte il Pian Grande, degli altri posti non sapevo niente.

Non ero ancora avvezzo a usare Internet, mi era impossibile avere informazioni, sapevo solo che gli altopiani erano tra i miei paesaggi preferiti.

Mannaggia, un UomoMezzo con RuotaMezza tagliata fuori non si può vedere! Comunque trovai cinque compagni di merende e ci facemmo uno sparone autostradale di 480 km, tutti su monocilindriche tra i 350 e i 600 cc: all’epoca era ancora abbastanza normale usare le mono da enduro come moto totali, ma erano già in tanti quelli che pensavano che simili trasferimenti si potessero fare solo con le bicilindriche o con i furgoni.

La traversata iniziò senza il minimo intoppo, a parte uno che vomitava e sdiarreava a spruzzo, una stampella spezzata e un TT600R che non andava più perché la pioggia aveva bagnato la bobina. Guasto peraltro comune anche ad altre Yamaha TT600R, era proprio un suo tallone d’Achille. Pare che mettendo della pasta rossa nella bobina il problema si risolvesse.

I Sibillini li passammo a memoria, poi facemmo tutto con la mappa al 200.000. Navigare con quella comportava due cose: il dover capire che la strada reale combaciasse con quello che era disegnato sulla cartina e il non sapere mai se fossimo sulla strada giusta. Col GPS, c’è la freccetta-che-saresti-tu che si muove sulla traccia… o meno. Te ne accorgi, se stai sbagliando.

Era normale usare le mono da enduro come moto totali

Sopra Cascia trovammo i ruderi di un villaggio abbandonato. Avvertimmo una signora che abitava lì vicino che in-tende-vamo montare le tende tra i ruderi e lei chiamò la Polizia, dicendo che dei venditori di tende l’avevano importunata. Arrivò quindi un’Alfetta con il lampeggiante, capì l’equivoco e ci diede la sua benedizione.

Il problema del Pian di Cascina è che non sapevamo se era collegato direttamente a Rocca di Corno. Con la mappa al 200.000 non c’era niente, dove si vede segnato in celeste. L’unica era andare e provare.

Quando entrammo nel Pian di Cascina, diluviava e c’era una nebbia fittissima. Trovammo una sterrata interminabile che saliva, saliva, poi ondulava, quindi scendeva. Ma non vedevamo niente, non si capiva nulla di che posti stessimo attraversando.

Scesi a Rocca di Corno, sull’asfalto, il programma prevedeva di montare le tende al Pian del Rascino ma pioveva fortissimo ed eravamo bagnati. Abbiamo così ripiegato sull’Hotel Marrone, scelto perché il nome ci ispirava tariffe popolari. E ci prendemmo.

Il giorno dopo il cielo era blu cobalto, il sole splendeva e la salita per il Rascino era coperta da chicchi di grandine. Sterrata sassosa, ripida. In cima siamo rimasti di stucco: da lassù si vedeva un lago meraviglioso, con i tentacoli. Non ne sapevamo niente. E ci siamo arrivati dando fiducia a una carta al 200.000…

Sembrava che quel passo senza nome fosse un armadio delle Cronache di Narnia che ci avesse catapultato in Irlanda direttamente dal Lazio.
In realtà il Rascino era un posto già abbastanza famoso, anche al telegiornale, perché i Carabinieri, nel ’74, vi avevano ucciso un noto terrorista, Giancarlo degli Esposti, che in quanto latitante si era nascosto lì e dormiva in tenda.

Nel novembre del 2009, a L’Aquila, una delle persone che aveva perso la casa per colpa del terremoto organizzò una cavalcata per monocilindriche, con lo scopo di dare uno schiaffo alla malasorte e di far vedere che la sua città non si arrendeva. Mi ospitò nella stessa casamobile dove alloggiava dopo il disastro e mi fece godere su un percorso tra i più bucolici mai fatti.

Nel 2009 non si usava molto dare la traccia GPS, per cui partivi senza avere idea di dove saresti passato, seguivi le fettucce. Sul momento ero estasiato dal percorso ma non capivo dove fossimo. Però avevo il GPS così, una volta a casa, guardai la traccia e capii: era il Pian di Cascina. Io quel percorso lo avevo già fatto, ma immerso nella nebbia più feroce.

La parte più bella del percorso sono i Prati di Cinno. Ma si tratta solo di una minima parte di una serie di percorsi meravigliosi che vanno verso Borbona e oltre.

In seguito sono ripassato più volte per i Prati di Cinno, perché vengono inseriti nei percorsi di manifestazioni come la Transitalia Marathon e il Queen Trophy. E sempre con la traccia GPX. Oggi mi fa davvero impressione pensare che questo posto l’ho scoperto per i fatti miei, arrivandoci da Milano con la monocilindrica, senza una traccia, senza una mappa e con un nebbione pazzesco. Il progresso ci fa vivere meglio, ma ci rende sempre meno capaci.

Quindi la mia ultima foto è questa: Transitalia 2022, Prati di Cinno, quando ho ritrovato la stessa nebbia di 20 anni prima.