Vi capita mai di non comprare una moto che sognate e di rimpiangerla tutta la vita, anche se non era il caso di prenderla? Poi ne trovate una utilizzata in un modo curioso… ed ecco qua la storia
di Mario Ciaccia
Quando mi sono appassionato alle moto avevo quattordici anni, era il 1980 e avevo capito che le migliori moto da viaggio erano quelle con più cilindri e più cavalli possibili.
In quel periodo il maschio alfa delle moto era la CBX 1000 di Honda, che aveva 6 cilindri e 105 CV, quindi decisi che avrei fatto la patente e mi sarei comprato proprio questa.
Per cui, quando lessi una pubblicità BMW che millantava che le moto bavaresi fossero il top del top per viaggiare, mi aspettavo che avessero 8 cilindri e almeno 140 CV.
Ma quello che leggevo mi spiazzava. Come poteva essere “giramondo” una moto con appena 70 CV? Ho poi scoperto che le BMW non solo non avevano 8 cilindri, ma neanche 6. Erano bicilindriche!
E la R 100 RS mi piaceva ancora più della CBX 1000, di linea. Continuando a domandarmi come si potesse pensare di viaggiare con appena 70 CV, ho intuito che, forse, i cilindri e i cavalli non erano tutto, per girare il mondo.
Viaggio a Londra, folgorato come sulla via di Damasco
Quando avevo 15 anni, cioè nel 1981, i miei genitori mi hanno spedito in Gran Bretagna per una vacanza-studio.
Una volta là scoprii che esisteva una normativa che permetteva a non ricordo chi (quindicenni? Sedicenni?) di guidare moto da 80 cc con velocità massima limitata a 75 km/h. Honda, Kawasaki, Suzuki e Yamaha producevano ciascuna due moto appartenenti a questa categoria: una stradale sportiva e una enduro di tipo dual sport.
Ecco due esempi delle fuoristrada: la Honda MTX 80 e la Yamaha DT 80.
Pensai: «Ma se non posso superare i 75 km/h, che vantaggi avrei a prendere una sportiva, visto che con le endurine potrei andare anche in fuoristrada?»
Così è iniziata la mia passione per le enduro stradali, le moto totali in grado di viaggiare ovunque sulla Terra.
La conversione definitiva è avvenuta quando la rivista Tuttomoto provò la Honda XL 500S e scrisse che “I francesi, che la sanno lunga, con la XL girano il mondo”. Un cilindro, 35 CV, era più inarrestabile della CBX 1000 da 6 cilindri e 105 CV.
Nella foto si vede chiaramente come la ruota anteriore sia enorme, infatti era da 23”, un esperimento portato avanti dalla sola Honda quando tutte le altre Case adottavano la 21”.
Così ho deciso che l’avrei comprata, ma servivano soldi e, nel frattempo, uscì la XL 500R, con sospensione posteriore Pro-Link, anteriore da 21” e freni a tamburo a doppia ganascia.
Finalmente, nel 1986 ero riuscito a mettere da parte un po’ di soldini, sufficienti per la XL 250S, che costava e consumava meno della 500. Però c’erano altre due opzioni.
La XL 250S si trovava, usata, a prezzi mediamente su 1.300.000 lire.
La XL 200R veniva 1.600.000 lire nella irresistibile versione Paris-Dakar ma mi affascinava molto di meno della XL 250S perché si trattava di una 125 maggiorata, mentre la 250 era (quasi) una 500 minorata.
E poi era con una XL 250S che il francese Philippe Vassard era andato in testa alla Dakar del 1979, per poi terminare al terzo posto.
Un risultato clamoroso per un mezzo così piccolo, che faceva capire che diavolo di moto fosse. Mentre della 200 sentivo dire che era facile grippare il cilindro per colpa di una lubrificazione da 125 cc.
La XL 250R nella versione Paris-Dakar non mi faceva dormire la notte, ma si trovava dai 2.000.000 di lire in su, era troppo.
La XL-R Paris-Dakar mi piaceva perché si ispirava alla XL 550R che aveva vinto la Dakar del 1982 con Cyril Neveu. Ma l’ho detto, costava troppo.
Così a Milano ho trovato un ragazzo che vendeva una XL 250S, sono andato da lui, l’ho avviata a pedale, faceva pum pum, era emozionante, l’ho provata, era bellissima, ok, ho detto al tipo che l’avrei presa, non restava che trovare un notaio.
Tornai a casa, eccitato come la mia gatta davanti a una pentola piena di cimici e commisi l’errore di raccontare la cosa a mio padre, che commentò con un «Uhm» poco rassicurante.
Allora prese il telefono (col filo) e chiamò un suo amico meccanico, che rispose così: «La XL-S ha la ruota anteriore da 23 pollici, è l’unica, è fuori produzione da anni, non le trovi le gomme per quella, dì a tuo figlio di lasciare perdere».
Mio padre non mi obbligò, mi fece riflettere, aveva ragione lui, ma ormai mi vedevo in sella a quella moto, mi sono venuti i nervi, abbiamo litigato. Le gomme le facevano Bridgestone e IRC, erano ancora disponibili, però erano praticamente stradali, poco tassellate, è inutile, 23″ era una misura senza senso…
Così ho ripiegato su una XL 200R Paris-Dakar, che costava di più e che trovavo meno gustosa da guidare. In fuoristrada andava bene, era ottima per imparare, peccato che fosse una baracca.
In particolare, l’ingranaggio della ruota libera dell’avviamento elettrico si sgranava ogni 10.000 km, la lubrificazione della testa era insufficiente per cui grippai (maledizione, allora era vero) e ciò successe pure ad altri due che conoscevo.
Non vibrava molto, ma a sufficienza per crepare viti da tutte le parti, per cui ogni tanto perdevo qualche pezzo per strada, compresi il collettore e il terminale dello scarico.
Prima ancora dei 30.000 km la mia moto era un ammasso di elastici, scotch e fil di ferro, mentre gli amici con le XL 250 R arrivarono agli 80.000 senza problemi.
Insomma, ogni volta che vedo in giro qualcuno con la XL-S, 250 o 500 che sia, provo un senso di nostalgia, rammarico, rabbia e rimpianto. Ancora oggi, giuro.
Le foto sopra sono state scattate all’Agnellotreffen 2025 e in Sardegna. Tra l’altro le gomme da 23” non hanno mai smesso di farle e, oltre a IRC e Bridgestone, si è aggiunta CST, a prezzi tipo 60 euro. E si trovano pure le camere d’aria!
Sono sicuro che anche tra voi che leggete c’è chi si è convinto a non comprare una moto che il cuore voleva e la testa bocciava. E ci scommetto una XL-S che, quando la vedete passare, state male.
Prendere fuoco in moto
Gli anni sono passati uno dopo l’altro e sono diventato io il papà che manda il figlio Pupu’z a fare la vacanza-studio in un Paese di lingua anglosassone, in questo caso l’Irlanda.
Era il 2022 e il figlio aveva 16 anni, quindi più o meno come me quando venni mandato a Londra e scoprii tutte quelle 80 cc. Anche in questo caso il viaggio ha avuto a che fare con le motociclette.
Dapprima perché ho portato il pargolo all’aeroporto di Bergamo con la mia Ténéré caricata con le sue grosse borse.
Ogni volta che vedo una XL-S provo un senso di nostalgia, rammarico, rabbia e rimpianto
Mentre viaggiavamo a 140 km/h di tachimetro, con la sottile angoscia di chi sta andando a prendere un aereo, una moto e due auto mi hanno superato gesticolando e facendomi sentire in colpa, come se avessi tagliato loro la strada.
In realtà non erano arrabbiati, volevano soltanto dirmi che stavamo andando a fuoco.
Non so come sia successo. A prendere fuoco è stata una borsa, la più grande. Non era a contatto con il terminale di scarico (che è in titanio e non scotta, tra l’altro) e dentro non c’erano batterie di alcun genere.
Si tratta di quel genere di incidenti che ti insegna che in qualsiasi momento può capitare qualsiasi cosa malefica, senza che tu riesca a capire perché.
Un colpo di fortuna nella sfortuna è che il bagaglio era trattenuto dalle Rock Straps, cinghie elastiche che si possono sganciare al volo. Ho lanciato via la borsa in fiamme, la moto è stata soltanto sbruciacchiata su una freccia, dei tipi della manutenzione autostrade hanno spento l’incendio e il Pupu’z è riuscito a prendere al pelo l’aereo, con un grosso sacco verde di plastica puzzolente di bruciato e con dentro i pochi vestiti che si erano salvati.
Alimentare il fuoco: la torba
Il Pupu’z è finito a Clonvert, un minuscolo paesino in mezzo all’Irlanda, in una fattoria il cui padre si chiamava Brendon.
Dopo tre settimane siamo andati a prenderlo: tutta la famiglia s’è presentata a Clonvert su un’auto a tre cilindri a noleggio, con l’intenzione di girare l’isola per una settimana.
Come sono sceso dalla quattro ruote ho notato che Brendon aveva proprio quella moto lì, la rimpianta Honda XL 250S, per di più rossa come piace a me.
Come sempre, ho provato rimpianto e nostalgia verso un bambino mai nato. Davvero, voi che leggete, se una moto vi piace di cuore ma non vi convince di testa fregatevene, sennò finite come me che, quarant’anni dopo, mi ritrovo ancora a sbavare di fronte a un rudere.
Gli ho chiesto se facesse fatica a trovare le gomme e mi ha dato una risposta sorprendente: «Perché dovrei cambiare le gomme?»
Ho così scoperto che quest’uomo ha comprato la moto per andare a prendere la torba.
Sapete com’è, no? Paese che vai, usanze che trovi. In Irlanda è normale prendere la torba e ficcarla nel camino al posto della legna, per scaldarsi.
Sembra terra e, in effetti, la tiri su dal terreno. Ma ha origini vegetali, in pratica si tratta di ammassi di piante e insetti che marciscono nelle paludi ma non abbastanza e assumono quest’aspetto simile alla terra. La prendi, la tagli ricavandone mattoni e la metti nella stufa.
Per cui Brendon ogni tot giorni va in una torbiera vicino a casa sua, tira su qualche mattone, lo carica sulla XL e torna a casa, per poi sistemare il raccolto in quel vano (non ho capito quanti ne tiri su a botta e come li porti). In tutto sono 4 km tra andata e ritorno.
Ha comprato la moto nuova nel 1982 e, in quarant’anni tondi, ha coperto 39.500 km, praticamente 1.000 km in 250 giorni all’anno, senza mai farci altro. Ma ciò che mi ha veramente sconvolto è che in questi 40.000 km non ha mai cambiato niente: gomme, catena e ganasce sono originali.
E la gomma non è neanche sulle tele! In pratica lui va piano piano su terreni soffici e il risultato è l’elisir della vita eterna. Domanda: non vetrifica una gomma di quarant’anni? Risposta: boh!
Quando è giunto il momento di andarcene, in segno di stima e rispetto Brendon ci ha regalato un panetto di torba.
Lo abbiamo ancora oggi, infilato dentro una teca ed esposto in salotto.