Con una cura dimagrante, un abito sportivo e delle modifiche mirate la maxienduro americana si trasforma da adventure tuttofare a sport touring mangiacurve.
di Dario Tortora
Da sempre Harley-Davidson è sinonimo di custom, chopper, barbe lunghe, birre fresche e chilometri dritti sotto il sole del deserto. Ma anche i dogmi più sacri prima o poi devono fare i conti con l’evoluzione e così, tra lo scetticismo generale e qualche naso arricciato, nel 2021 è arrivata la Pan America, la prima maxienduro firmata Milwaukee.
Forse un’eresia, sicuramente un rischio, ma anche una dichiarazione d’intenti: Harley-Davidson è seriamente intenzionata a presidiare il segmento adventure touring con una strategia di lungo corso, visto che, come ricordano loro stessi, vale il 45% del mercato moto.
Noi, da par nostro, l’abbiamo messa alla prova in due occasioni: in giro per stradine infide e sterrate sopra il Lago d’Iseo (RoadBook 28) e addirittura fra le sabbie tunisine per sfatare il falso mito della pista di Rommel (RoadBook 36).
Ora, a quattro anni di distanza, arriva la “ST”, un modello con una genesi molto particolare: Bas Leek, proprietario del concessionario West Coast Motors nei Paesi Bassi, ha modificato la sua Pan America personale per farne una tourer da strada cattiva ma confortevole, eliminando tutto il superfluo e rinunciando a qualsiasi velleità fuoristradistica. Ci ha lavorato quattro mesi e il risultato è piaciuto a tal punto che la Casa ha deciso di metterla in produzione.
La sigla sta quindi per Sport Touring, ma potremmo anche leggerla come “Stravolgiamo Tutto” perché quella che era nata per divorare sterrati e avventure ora punta dritto all’asfalto, con i gomiti larghi e l’idea di divertirsi tra le curve.
La Harley-Davidson Pan America 1250 ST è quindi un capitolo completamente nuovo di questa storia fuori dagli schemi, e pure uno dei migliori.
Punta dritto all’asfalto con l’idea di divertirsi tra le curve
Pan America 1250 ST: cambia la ruota, cambia tutto
Rispetto alla Pan America con anteriore da 19”, la ST cambia apparentemente poco… ma quel poco cambia tutto. Il cerchio anteriore passa a 17” e quei due pollici sembrano pochi finché non butti giù la moto tra le curve.
Le ruote sono ora in lega e arrivano anche sospensioni con corsa ridotta: 170 mm di escursione contro i 190 della sorella più alta. Sempre Showa, sempre regolabili, però manuali (scordiamoci le semiattive della versione Special) perché qui si parla di precisione chirurgica, non di comfort tuttoterreno.
Le geometrie seguono il cambio ruota, con il cannotto che si chiude e l’avancorsa che quindi si riduce. Tradotto: l’avantreno diventa più svelto, più diretto, più sportivo. Meno esploratore delle strade del mondo, più attaccabrighe da passo alpino.
Per rendere la ST una vera sport touring e non solo una Pan America con le ruote diverse, è stata messa a dura dieta. Via i paramani, via le barre di protezione laterali, via il paramotore. Il parabrezza è più basso, fisso, nessuna regolazione e tutti i moscerini in faccia.
La sella è ribassata, il manubrio è più stretto, il codino ridotto all’osso. Risultato? 12 chili in meno rispetto alla Pan America Special e ora la ST pesa 246 kg in ordine di marcia.
Lo scarico cambia (altri kg in meno), ma il cuore no: rimane il bicilindrico Revolution Max 1252 cc da 150 CV e 127 Nm, sempre raffreddato a liquido. Addio anche ai riding mode Offroad: da 7 si passa a 5 (Road, Sport, Rain e due personalizzabili).
Cambia anche la posizione in sella: 825 mm da terra, 10 mm in meno rispetto a prima, e quindi chiunque riuscirà a toccare bene con entrambi i piedi; viceversa chi supera il metro e ottanta lamenterà le ginocchia troppo piegate e va notato che la sella è in posizione fissa.
La Pan America 1250 ST balla tra le curve
All’avvio il suono del Revolution Max non è il classico ruggito H-D, ma in movimento fa vedere di cosa è capace, soprattutto ai regimi medi e alti. Il motore sale liscio, progressivo, ma insistendo con la rotazione della manopola spinge veramente tanto, soprattutto nella mappa Sport.
Più attaccabrighe da passo alpino
La gestione della risposta dell’acceleratore è migliorabile (ogni tanto in rilascio è un po’ brusco) mentre è di serie l’ottimo quickshifter Screamin’ Eagle, incerto solo a basso numero di giri.
La vera magia è però nella ciclistica. La ST cambia completamente faccia rispetto alla Pan America Special: quest’ultima è una maxienduro (molto maxi) che si difende sull’asfalto, mentre la nuova è una stradale vera, con reazioni da fun bike.
La ruota da 17” fa miracoli nei cambi di direzione, rivelandosi rapida, precisa, naturale. Nello stretto è istintiva, nei curvoni veloci è incollata a terra e il merito va anche agli pneumatici Michelin Scorcher Sport (120/70 davanti, 180/55 dietro), molto più efficaci delle gomme tuttoterreno della sorella maggiore. Impeccabile l’impianto frenante firmato da Brembo, con dischi da 280 mm e pinze radiali.
La conclusione è che la moto sembra pesare meno di quanto dice la bilancia e si comporta più come una naked sportiva che come una crossover da turismo.
Pan America 1250 ST: più sport, meno enduro
In fin dei conti questa Pan America ST fa esattamente quello che promette. Dice Sport Touring, e sport touring è. Non vuole più uscire dall’asfalto, ma permette di entrare in curva col sorriso.
È più agile, più coinvolgente, più leggera. Eppure resta comoda, perfetta per il turismo e fra gli accessori ci sono anche le valigie. Il motore vibra poco, la sella è comoda, le manopole riscaldate sono di serie e il cupolino protegge il minimo indispensabile.
È una Harley-Davidson diversa, certo, ma perché gioca a ribaltare le aspettative. Pensateci: sono gli stessi che si sono inventati la corsa in pista King of the Baggers e che hanno portato una Pan America di serie all’Africa Eco Race con Joan Pedrero.
Cosa volete che sia prendere una maxienduro e metterla in piega a 45°? Ben venga allora questa ST: meno enduro, più goduria, e con un DNA che alla fine è sempre Harley-Davidson.