La Ducati Multistrada ha avuto un’evoluzione impressionante ed è una delle migliori moto da viaggio, ma… vi è mai capitato di provare a lungo una moto, ritenerla praticamente perfetta ma non avere voglia di farla vostra?
di Mario Ciaccia
Ne seguo la storia da quando è nata: è una moto geniale ma, non capisco il perché, non la vorrei comprare. Siamo nei primi anni 2000: da sempre le supersportive sono le moto preferite da chi vuole correre sulle strade di montagna e di collina, ma la loro evoluzione le rende sempre più rigide e adatte a percorsi con curve a largo raggio e fondi regolari.
Nel frattempo, le maxienduro si stanno evolvendo in chiave stradale e ci si rende conto che alcuni modelli (soprattutto BMW R 1150 GS, Cagiva Navigator 1000, Suzuki V-Strom 1000, Aprilia ETV 1000 Caponord e KTM 950 LC8 Adventure) possono risultare migliori in situazioni che non sono affatto rare.
Non sono soltanto più comode, più ospitali per il passeggero e più facili da caricare di bagagli ma, come sospensioni e posizione di guida, sono più efficaci nelle curve strette con fondo irregolare che, alla fine, sono la maggior parte.
Tra i pazzi che si sfidano per battere i record di percorrenza della Val Trebbia (PC), ovviamente abusivi, vietati e pericolosissimi, a un certo punto salta fuori che un certo Joe Bar, con la Caponord, ha stracciato tutti, compresi i piloti di Yamaha R-1 e Ducati 998.
Così in Ducati si chiedono: «Come sarebbe una via di mezzo tra una supersportiva e una maxienduro?» Ed ecco quindi, a EICMA 2002, la Multistrada: una sorta di motard a due cilindri, con posizione di guida rialzata da enduro, cerchi da 17”, ciclistica con geometria agile e basso peso, motore ad aria monoalbero a 2 valvole con 84 CV e tanta coppia per uscire a fionda dai tornanti.
Il concetto è quello della moto semplice e leggera che va forte perché pesa poco e spinge tanto ai bassi. Si chiama Multistrada perché è stata concepita per andare forte su qualsiasi tipo di asfalto, buono o cattivo che sia. Infatti l’hanno sviluppata sul passo della Futa, che alle porte di Bologna sembra una pista ma poi peggiora man mano che sale di quota. Tant’è che, inizialmente, avrebbe dovuto chiamarsi Futa.
Ha un’estetica strana, figlia di quel Pierre Terblanche che non è mai stato amato più di tanto dai ducatisti. Il cupolino che si spezza in curva e lo scarico che irrompe al di sopra di faro posteriore e targa non fanno breccia. Ma io ne rimango folgorato, la moto mi piace tantissimo di estetica (specie i fianchi strettissimi) e di concetto. Mi porto a casa la brochure: è grande e piena di pagine. È stata scritta con passione, spiega cosa volevano fare e cosa hanno fatto, mi fa venire voglia di comprarla.
Curva come un monocilindrico
Nella primavera del 2003 riesco a guidarla durante una comparativa con moto di vario tipo, comprese una Kawasaki ZX-6R Ninja e una Honda VFR750F V-Tec. Beh, la Multistrada è l’unica moto con cui io riesca a tenere il passo del gruppo. Con le altre si spegne la luce, resto inesorabilmente indietro. La differenza abissale è in curva: con la Ducati inizio a frenare molto più tardi e, come se non bastasse, è anche quella con cui riesco a stare più vicino alla corda.
Quindi freno di meno e stringo di più: le altre, a confronto, sono dei camion da maneggiare con cura. Percorro il tornante con un filo di gas senza che il motore strappi, poi apro e il bicilindrico risponde subito, bello corposo. Una goduria di moto, tra le più coinvolgenti che abbia mai guidato.
La Multistrada ha un certo successo e arriva in concomitanza con la nascita di manifestazioni di regolarità dove si devono percorrere un sacco di strade di montagna in rapida successione, come la Centopassi. Appare evidente che è lei la moto ideale per questo genere di eventi, tanto che la danno in premio al vincitore. Nel 2006 arriva il motore 1100 da 95 CV, ma la Multi resta sostanzialmente la stessa.
La rivoluzione arriva nel 2010, con la 1200, fatta tutta al contrario. Ha il motore Testastretta bialbero 8 valvole raffreddato a liquido da 150 CV e un’elettronica sofisticatissima: è la prima moto con i riding mode, ovvero quel pacchetto di tarature elettroniche che combinano insieme diversi comportamenti di erogazione motore, frenata, controllo trazione e comportamento sospensioni in base al tasto che premi. C’è l’assetto da città, da viaggio, da sterrato e da guida sportiva.
La moto va molto più forte e ha pure un sound meraviglioso, ma ha cambiato anima. La prima volta che la provo sono eccitato, la prendo e ci vado a casa guidando sportivamente. Sono esaltato, va fortissimo.
La moto mi piace tantissimo di estetica e di concetto
Ma, durante la notte, il mio figlio più piccolo si ammala: per comprargli delle medicine devo vagare per le campagne padane a caccia di una farmacia aperta alle tre di notte. È giugno, fa caldo, c’è la luna piena, i grilli cantano: avrei voglia di fare le strette stradine padane andando piano, con un filo di gas e le marce lunghe, ma la magia se ne va.
A differenza della 1000, la 1200 non è fatta per questo utilizzo. Il motore scalcia, strappa, vuole girare alto. E scalda le cosce fin quasi a scottarle. Inoltre, nelle curve strette è faticosa, vuole allargare, non c’entra proprio niente con la precedente. Ha un gran carattere, affascina da bestia, ma non è più tanto “multi”.
In Ducati se ne rendono conto e le versioni successive verranno costantemente addolcite ai bassi e rese più maneggevoli. Si arriva persino alla fasatura variabile e a una cilindrata di 1.262 cc per 158 CV. Ma le precedenti 1000/1100 restano più amichevoli, nel misto strettissimo.
Ma poi, nel 2021, viene tirata una riga e si riparte da zero, con la Multistrada V4 dotata di motore a quattro cilindri non desmodromico e telaio in alluminio.
Non è diversa solo per queste caratteristiche, ha proprio cambiato filosofia. Ha la ruota anteriore da 19”, non è più scorbutica, ha una potenza massima di 170 CV ma è docile ai bassi, è comodissima, è facile in curva e stringe i tornanti quasi come la 1000 e in più, rispetto a questa, va bene anche in sterrato.
Non riesco a crederci: pur avendo una potenza massima che io giudico folle e inutile, è la più multistrada di tutte le Multistrada, va bene dai curvoni autostradali agli sterrati, dai lunghi rettilinei alle stradine.
Da seduti è comodissima, ma in piedi si guida bene, in sterrato non intimorisce e le sospensioni vanno bene da tutte le parti, dalla pista di Laguna Seca alla strada dell’Assietta. Come tutte le motone moderne scalda un botto, ma molto meno rispetto alle 1200/1260 perché è dotata di accorgimenti atti a ridimensionare l’odioso fenomeno.
La uso pure in coppia ed è favolosa: puoi marciare con un filo di gas senza che il passeggero venga sballottato da erogazioni irregolari o botte improvvise di potenza, inoltre in due si sta comodi senza darsi fastidio.
Un SUV Ferrari
Già così mette insieme l’efficienza e la qualità di una moto giapponese insieme al carisma e al carattere di un’italiana, ma c’è dell’altro. La versione S rappresenta un balzo tecnologico talmente in avanti che molte delle sue innovazioni vanno oltre la mia immaginazione.
Mi sta succedendo la stessa cosa con le fotocamere: un tempo bastava saper impostare tempo, diaframma e ISO per fare quello che volevi. Adesso ci sono funzioni che stento a comprendere in pieno, tipo la possibilità di addestrare l’autofocus a riconoscere i volti di persone che decidi tu.
Una moto così non la capisci, se non te la spiegano prima. Monti in sella e ci fai quello che sei abituato a fare, ma lei fa cose. Al minimo va a due cilindri per consumare e scaldare meno. Sotto una certa velocità si abbassa per farti toccare meglio. Nelle discese ripide si schiaccia dietro per alzare l’avantreno e farti stare meno inclinato in avanti. Se la guidi senza mani, lei decelera, frena e riaccelera a seconda del traffico. È una sorta di SUV della Ferrari, con il massimo della tecnologia.
Ho guidato questa moto in diverse occasioni ma ho avuto modo di conoscerla a fondo all’Italian Challenge del 2022: quattro tappe da Rimini a Maratea (PZ), lunghe tra i 300 e i 400 km, più i trasferimenti da e per Bologna, per un totale di 2.260 km su strade di qualsiasi genere, dall’autostrada alle sterrate sassose.
Niente da dire: è un capolavoro, un concentrato di tecnologia al servizio di una guida comoda, sicura, facile, veloce e divertente. L’ideale per la Italian Challenge, considerati anche i 770 km per riportare la moto da Maratea alla sede Ducati.
Ducati Multistrada: le mie conclusioni
Quindi questo articolo sembra essere una sfacciata pubblicità a favore della Multistrada V4 S, ma non sono falso e viscido: per me è davvero una delle migliori moto da viaggio. La stranezza, però, è che non mi è mai venuta voglia di possederla. Perché? Me lo domando da anni.
Ha i suoi difetti, certo, tipo che consuma parecchio per essere una moto moderna – tra 11 e 15 km/l – e che ai bassi regimi non pulsa come i motori che piacciono a me (monocilindrici e bicilindrici). Ma compensa questa cosa con una goduria da Lamborghini ai medi e alti regimi.
A differenza della prima 1200, se uso la V4 per andarci piano di notte in cerca della farmacia lei non scalcia e gira regolare con un filo di gas anche se, a quei regimi così bassi, non mi fa godere come la Multi 1000.
Forse ciò che non mi fa innamorare di lei è che è troppo perfetta. Probabilmente il mio inconscio mi fa apprezzare, delle moto, il lato romantico, la loro essenzialità: non è ancora pronto per mezzi così esageratamente superiori alla mia intelligenza. Oppure la questione è che sono portato a entusiasmarmi per le moto semplici, piccole, quasi estensioni del mio corpo.
Non penso sia un caso se nel 2017 mi sono perdutamente innamorato di un’altra Ducati, tanto che stavo per comprarla: la Desert Sled, ottima in fuoristrada e fantastica su strada. È l’esatto opposto della Multi V4: esile, nuda, con il faro tondo, poca elettronica, il raffreddamento ad aria. Ma non la fanno più e ciò dovrebbe farmi riflettere. Voi come vi ponete di fronte a massimi sistemi motociclistici come questi?