In attesa di provarla nei prossimi giorni siamo andati alla presentazione ufficiale della BMW R 12 G/S, nel cuore della Milano da bere.
di Mario Ciaccia
Era veramente la Milano da bere, ovvero quella risvoltinata che va a prendere l’aperitivo in centro: l’evento infatti si è tenuto nella House of BMW in via Manzoni, a due passi da Piazza della Scala.
C’era la coda per entrare e, una volta dentro, è apparso evidente che a buona parte delle persone presenti della nuova moto importava poco o nulla, ma erano lì perché si trattava di un evento mondano. Un po’ come succede alle inaugurazioni delle mostre d’arte, in cui conta andarci anche se non sai neanche chi sta esponendo.
Ne sono rimasto colpito, perché questa cosa in campo moto succedeva negli anni ’80, quando la Dakar teneva banco persino nei salotti. E qua di aria dakariana se ne respirava parecchia!
Prima di parlare della R 12 G/S, guardate che chicche erano esposte. Stiamo parlando della festa di una moto che ha il difficile compito di evocare un mito, ovvero la R 80 G/S del 1980.
Per cui eccola esposta, era inevitabile. La versione più famosa, quella con la sella rossa, il serbatoio bianco e blu, la mascherina del faro asimmetrica perché ospitava la strumentazione.
Un oggetto di design che ha rivoluzionato il mondo delle moto, la prima maxienduro della storia. Qualsiasi pluricilindrica da viaggio avventuroso moderna vi interessi, sappiate che è in debito con questa BMW.
Ecco quindi una delle sue antenate, ovvero una delle moto da gara che erano state realizzate, negli anni ’70, per correre alla Sei Giorni. Queste moto non erano G/S, perché la sigla significa Gelande/Strasse, ovvero fuoristrada/strada ed è stata introdotta nel 1980. Erano prototipi costruiti in numeri limitatissimi con il solo scopo di gareggiare nella regolarità.
A un certo punto però, colpiti dal successo della Yamaha XT 500, e spinti soprattutto dall’importatore statunitense, in BMW decisero di creare una versione di queste moto adatta anche all’uso stradale e turistico, da cui la sigla G/S.
Quindi ciò che si legge in quel cartello, ovvero che la moto del 1979 in foto è “un prototipo realizzato sulla base della GS 800”, immagino che possa essere oggetto di feroci contestazioni da parte dei cultori della storia di questa moto leggendaria.
Andando avanti con le chicche, ecco esposte tre delle quattro G/S che hanno vinto la Dakar. Qui vediamo la più buffa, quella del 1981, guidata da Hubert Auriol.
Esteticamente è veramente balorda, ma ha i suoi perché: il serbatoio enorme può scendere molto in basso grazie alla conformazione del motore boxer; mentre la sella sembra un baule perché è un baule, dato che conteneva una trousse di attrezzi impressionante.
Qui sopra vediamo le due moto con cui il belga Gaston Rahier vinse la Dakar nel 1984 e nel 1985. Esteticamente sono molto diverse dalla versione del 1981 e confesso che se quella la trovo buffa, beh… queste mi fanno un effetto molto più conturbante. Manca quella con cui Auriol vinse nel 1983.
Notate l’ambientazione: ho preso in mano quella sabbia, roba così sottile in Italia non l’ho mai trovata, mi ricorda quella dell’Erg tunisino. Gigi Soldano mi ha detto che l’hanno fatta arrivare dalla Mauritania, però non ho capito se stesse scherzando. Ma chi è Gigi Soldano?
Eccolo a destra, accanto al fotografo Thomas Maccabelli. Gigi è il veterano assoluto dei fotografi della Dakar, le ha seguite quasi tutte. Le foto più famose e riprodotte delle edizioni anni ’80 sono le sue. La mia mania per le foto UomoMezzo deriva da quelle che lui scattava alla gente che riusciva a portare le moto fino al Lago Rosa.
Se avete avuto la fortuna di avere in mano i libri “Dakar Borderline” di Ciro de Petri o “Fuori Traccia” di Beppe Gualini, ecco, quelle foto pazzesche sono di Gigi Soldano.
Uno storico UomoMezzo: Beppe Gualini al Faraoni 1982. Era l’unico pilota italiano e Gigi Soldano l’unico fotografo italiano, per cui i due all’inizio si parlavano in francese, pensando di essere i soli a provenire dal Bel Paese.
Tornando in via Manzoni, all’interno del chiostro erano esposte le foto che Soldano ha scattato alle BMW impegnate nelle Dakar di 40 e passa anni fa: grazie all’intelligenza artificiale erano animate.
C’era anche un maxischermo con filmati relativi alla vittoria di Auriol del 1981. Si vede Hubert correre a tutta velocità nei canali di sabbia, con l’avantreno che sbacchetta continuamente: fa più paura vedere quelle immagini che quelle moderne, con i piloti che whippano le dune con le 450 monocilindriche.
Si vede anche Auriol che, arrivato all’Oceano Atlantico, si butta in mare, per fare un bagno con la soddisfazione che avreste voi se foste un 28enne che ha appena vinto la Paris-Dakar.
Una festa adeguata alla nuova BMW R 12 G/S
Capite quindi come per questa presentazione sia stata creata un’atmosfera epico-dakariana che non può non farti pensare “Questa R 12 G/S non può non essere una vera moto da fuoristrada, al contrario della GS Urban che ci ha ingannato anni fa…”.
Ingannati nel senso che, dopo la R 80 G/S e dopo la HP2, sono 14 anni che stiamo aspettando una GS veramente da enduro, che possa essere paragonata alle 21” che vanno di moda adesso, compresa la BMW F 900 GS. Un ritorno alle origini, insomma, ma declinato in chiave moderna.
Ecco quindi spiegato perché da questa moto ci aspettiamo così tanto. Le hanno tolto i veli e poi ci hanno permesso di palpeggiarla. Ma già dalla scheda tecnica, che è di dominio pubblico da tempo, si capisce che in fuoristrada ci vuole andare. Non sto qui a ripetere le sue caratteristiche tecniche, visto che ne abbiamo parlato due mesi fa.
Posso però dire che, dal vivo, mi piace più che in foto, per un motivo preciso: sul computer mi sembrava meno slanciata di come sia in realtà.
Tra pochi giorni potrò guidarla, potendo così soddisfare tante altre curiosità ma, qua a Milano, cosa potevo fare? Era presente Bart Janssen Groesbeek, il designer della R 18 e della piattaforma R 12 Heritage.
Il problema è che quando presentano una moto nuova e c’è tutta quella folla, è normale che 12.800 persone si tuffino a pesce sul suo designer, se questi è presente.
Per cui avevo la faccia da perdente rassegnato a mollare il colpo, quando ho notato una cosa sconcertante: nessuno lo stava importunando. A conferma che la maggior parte delle persone non era venuta qui perché divorata dalla curiosità per la R 12 G/S.
Così non solo ha risposto alle mie domande, ma lo ha fatto in maniera rilassata, illustrandomi la moto come un pittore spiegherebbe una sua opera appesa al muro. Olandese, 58 anni appena compiuti, è anche l’autore della mia Ducati Monster preferita, la seconda serie del 2008, oltre che della Diavel.
Non è la prima volta che rimango affascinato da un designer di moto. M’è successo anche con Rodolfo Frascoli (padre di un numero sconcertante di moto famose, tanto per citarne tre: Gilera RC600 Dakar 1991, Moto Guzzi Griso e Triumph Tiger 900) e con Ola Stenegard, lo svedese papà della prima BMW R nineT e che poi è passato a Indian.
Sono accomunati dal fatto di non tirarsela e di essere veramente appassionati dal loro lavoro, per cui è un piacere sentirli parlare empaticamente di come hanno realizzato le loro moto.
La R 12 G/S e la HP2
La domanda sorge spontanea. La HP2 del 2006 aveva caratteristiche molto simili e una vocazione al fuoristrada ancora più spiccata. E costava 18.000 euro, più o meno quanto la nuova R 12 G/S, solo che 19 anni fa quella cifra aveva ben altro impatto nei portafogli delle persone.
Bart è stato lapidario. No, assolutamente la R 12 G/S non vuole essere la nuova HP2, anche se in fuoristrada va bene quasi quanto lei e, comunque, molto meglio della R 1300 GS.
La HP2 nasceva come moto da competizione con telaio e componenti fatti apposta per lei, cosa che la rendeva molto costosa da costruire. Altri elementi, come il serbatoio, costavano molto perché erano stati studiati per essere molto leggeri.
Questa invece è più versatile e sfrutta la piattaforma delle R12 Heritage, ovvero il motore e il telaio fino al cannotto di sterzo. Ciò la rende meno costosa da costruire e questo spiega perché abbia lo stesso prezzo della HP2, nonostante siano passati quasi 20 anni.
Il cannotto è stato realizzato ad hoc perché si tratta dell’unica R 12 Heritage a montare la ruota anteriore da 21” che, abbinata a una forcella da 210 mm di corsa, avrebbe impattato sul motore, se fosse stato adottato lo stesso cannotto delle sorelle.
Il monobraccio posteriore è più lungo di 20 mm, perché il retrotreno ha una corsa alla ruota di 200 mm, maggiore di molto rispetto alle R nineT. Ma la HP2 aveva il monobraccio allungato di 60 mm, perché aveva ben 250 mm di corsa alla ruota al posteriore. E la forcella addirittura 270 mm.
Altra grossa differenza tra HP2 e R 12 G/S, il peso. La prima dichiarava appena 170 kg in ordine di marcia, ma senza benzina. La nuova arriva a ben 218, nelle stesse condizioni. Va però detto che, quanto mettemmo la HP2 sulla bilancia, il peso risultò essere di 189 kg senza benzina.
Dal cannotto in poi il telaio è uguale per tutte le R 12 Heritage. Il layout è quello delle “vecchie” 1200, quindi con raffreddamento ad aria e olio, aspirazione dietro il cilindro e non sopra, scarico davanti e non sotto, frizione monodisco a secco (più brusca e rumorosa di quella multidisco in bagno d’olio della 1300). Bart ha detto che, volendo, si può togliere il serbatoio da 15,5 litri della G/S e montare quello da 18 della R nineT, perché gli attacchi sono gli stessi.
Quindi è una moto meno estrema della HP2, ma le aspettative in fuoristrada sono alte, specie nella versione con kit Enduro Package Pro, che comprende, tra le altre cose, le pedane a tripla dentellatura, un manubrio rialzato e, soprattutto, il cerchio posteriore da 18”. Non a caso, la moto esposta, e di cui state vedendo le foto, montava questo kit.
E quello, infatti, è il manubrio rialzato. Questa quindi è stata la nostra prima presa di contatto, statica, con la nuova BMW R 12 G/S. Ma quella dinamica casca settimana prossima, per cui siamo già belli immersi nel G/S mood. A presto!