
di Marco Manzoni
Prima di partire per il Marocco per la prova delle nuove Yamaha Ténéré 700 mi procuro una eSIM in modo da avere il traffico dati necessario per raccontare lo svolgimento della prova anche in tempo reale tramite le storie di Instagram.
All’arrivo a Marrakech attivo la eSIM e inizio a utilizzare internet con una banda considerevole. Il villaggio dove saremo ospitati, però, non si trova nella periferia di una metropoli, ma nel bel mezzo di un deserto dove la connessione sorprendentemente c’è, ma risulta molto lenta. Considerate che per caricare le storie che trovate salvate sul nostro profilo mi ci sono voluti mediamente quaranta minuti ciascuna.
Dovete sapere che quando le Case organizzano questi viaggi stampa per la presentazione dei nuovi modelli, ingaggiano dei service per la produzione di materiale foto-video personalizzato per ogni giornalista. Durante le prove ci sono infatti dei momenti dedicati agli shooting in azione e altri in cui registrare i commenti e le impressioni di guida accanto alle moto presentate. I ragazzi del service lavorano poi fino a tarda notte per catalogare e dividere tutte le foto e i video in modo che la mattina successiva, prima della partenza, a ogni giornalista venga fornito il proprio materiale, utile a produrre un articolo e il video per il canale YouTube.
Spesso il tutto viene condiviso tramite un cloud, ma data la scarsa connessione di cui sopra, stavolta ci viene consegnata una chiavetta USB personale. La mia conteneva circa 33 GB di preziosissimo e fighissimo materiale. La prendo in custodia con la stessa attenzione che si riserverebbe a una reliquia sacra e la conservo con cura per tutto il viaggio fino a casa. Appena rientrato la appoggio sul tavolo mentre smonto i bagagli, per non rischiare di smarrirla nel marasma.
Poi penso: «A breve torneranno le bimbe (piccole), meglio metterla al sicuro prima che la prendano e inizino a giocarci». Così ripongo la preziosa memoria nel taschino dei jeans. «Qui non la perdo di sicuro!»
Nel frattempo le bimbe rientrano insieme alla mia compagna e inizio a raccontare loro del viaggio, del deserto e dei dromedari che avevo visto. Dopo una mezz’ora Viviana deve uscire per alcune commissioni, lasciandomi a casa con le bimbe, ma prima di salutarci mi dice: «Sto facendo partire una lavatrice, vuoi darmi i jeans?»; «Uh, sì grazie, ottima idea!»
La lavatrice parte e lei esce. Passano una decina di minuti, le bimbe stanno guardando un cartone animato e io prendo il computer per iniziare a scaricare i video dalle action cam e dalla chiavetta. Accendo il PC, attacco la prima action e mentre guardo il trasferimento dei file che si avvia, mi si blocca il respiro di colpo. LA CHIAVETTA!
Corro in bagno a duecento all’ora e con un tuffo in stile Max Payne spengo la lavatrice. Peccato sia da poco iniziato il lavaggio e il cestello sia per metà pieno d’acqua. Lo sportello ovviamente non si apre e guardo impanicato i miei jeans che galleggiano immobili con il resto della biancheria. Provo ad aprire l’oblò, ma niente, il sistema di sicurezza lo impedisce. Apro quindi lo sportellino in basso per cercare l’apertura meccanica ma nulla, trovo solo il filtro.
Qui non la perdo di sicuro!
Allora prendo il telefono e chiamo la mia compagna: «Dov’è l’apertura di emergenza della lavatrice?» e lei «Devi spegnerla e aspettare due minuti». Mentre il mio cervello inizia a visualizzare tutti gli scenari peggiori per la mia preziosissima chiavetta, cerco di mantenere la calma: «Lo so, ma mi serve il gancio meccanico di emergenza per aprirla subito» e lei «Non lo so».
Butto giù il telefono e chiedo a Gemini che mi dà errore. In che senso errore? L’AI non ha mai dato errore in vita sua. Cosa vuol dire “errore”? Riavvio l’applicazione tre volte prima che riparta, ma non ottengo comunque una soluzione diversa da un «Devi guardare il manuale». Lo so, cavolo, lo so; ma non ho tempo e non so dove sia!
Intanto, accanto al filtro trovo un tubicino di gomma con un tappino. Prendo una bacinella e lo apro. È lo scarico di emergenza dell’acqua, ma è largo quanto una piccola cannuccia e il flusso è di una lentezza che non riesco a descrivere. Mentre l’acqua defluisce con la flemma di un pensionato in coda alle poste, desolato e affranto guardo fisso i miei jeans perdendomi nel buio dell’oblò per i successivi sette minuti.
Nel frattempo le bimbe hanno abbandonato la TV e sono alle mie spalle tipo gufo: «Cos’è successo papà?», «Cosa stai facendo?», «Perché sei arrabbiato?», «Cosa c’è nella lavatrice?», «Perché non si apre?», «Cos’è successo papà?», «Quanta acqua!», «Possiamo giocarci?».
Assorto in uno stato di trance causato dalla combo di nervosismo e desolazione sento un “clak” che mi risveglia. La lavatrice si è svuotata e lo sportello si è sbloccato. Lo apro, prendo al volo i jeans, tiro fuori la chiavetta, la scuoto forte e inizio subito ad asciugarla: dapprima con l’asciugamano e poi con l’asciugacapelli.
Poi la riporto sul tavolo accanto al PC e la lascio lì. Non ho il coraggio di controllare se funziona ancora. Hai presente che figura se non va più? «Pronto Yamaha, avete mica modo di recuperare il mio materiale del Marocco che ho messo la chiavetta in lavatrice?»
Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 48
Qui sotto il video sopravvissuto al lavaggio

