Appunti – Due ricorrenze che non ignoriamo (e nemmeno voi)

di Dario Tortora


Su queste pagine non ci occupiamo di competizioni, eppure stavolta dobbiamo riportare una notizia dal mondo delle corse, anche considerando il colpevole silenzio dei media generalisti: l’Italia ha vinto la Sei Giorni di Enduro di Bergamo. Una vittoria sudata, con un eccellente lavoro di squadra dei piloti.

Poiché le coincidenze non vengono mai da sole, mentre gli Azzurri festeggiano il loro trionfo noi celebriamo un traguardo che, in un certo senso, è altrettanto difficile da raggiungere: il numero 50 di RoadBook. Cinquanta uscite, cinquanta volte in edicola o, meglio, nelle vostre mani, sugli scaffali di casa, dentro le borse da serbatoio, sul tavolino di un bar con la macchia di caffè.

Cinquanta occasioni per raccontare la moto non come un missile da pista o un feticcio da collezione, ma come una chiave passepartout: quella che apre le porte del mondo.

Se ci ripenso, ognuno di questi cinquanta numeri è stato come una tappa di un viaggio. All’inizio avevamo solo una mappa tutta da disegnare, poi sono arrivati i compagni di strada, gli incontri improbabili, i guadi fatti col cuore in gola, le risate davanti agli imprevisti.

Dentro questi cinquanta numeri c’è un po’ di tutto: l’entusiasmo dei primi chilometri, la stanchezza delle giornate in sella troppo lunghe, la calma dopo la pioggia, la sorpresa di una strada sterrata che non era prevista.

Abbiamo scritto che la moto non è solo meccanica, ma antropologia. Che dietro ogni viaggio c’è sempre un modo diverso di guardare il mondo. Abbiamo raccontato l’importanza di non rincorrere il turismo di massa, ma di cercare quello che resta fuori dalle brochure e dai luoghi instagrammati da tutti gli altri: la casa contadina che ti apre la porta, l’osteria con le tende un po’ storte ma la zuppa migliore mai mangiata, il barista che ti racconta la storia del suo paesino come se fosse un romanzo epico.

Abbiamo parlato di amicizia, perché un viaggio in moto è fatto anche di mani che ti aiutano a raddrizzare una leva dopo una caduta, di silenzi condivisi, di discussioni furibonde su quale strada prendere al bivio. Abbiamo parlato pure di solitudine, perché certe volte c’è bisogno di restare da soli con il rumore del motore e il vento che asciuga i pensieri.

In questi cinquanta numeri c’è la nostra idea di motociclismo: non una gara a chi ce l’ha più grosso (il motore), ma una ricerca continua di senso. Perché la moto è un mezzo e non un fine, è lo strumento ideale per guardarsi intorno e lasciarsi sorprendere. È un modo di ricordarci che la libertà non è stare fermi nelle nostre certezze, ma metterci in movimento e accettare che ogni curva possa cambiare i nostri piani.

Mi piace pensare che la vera conquista non sia tanto essere arrivati a cinquanta, ma averlo fatto senza tradire quello che eravamo già dal primo numero: un quaderno di appunti e curiosità, di storie reali e ironia, di domande aperte.

La moto come una chiave che apre le porte del mondo

La vittoria alla Sei Giorni e il nostro numero 50 hanno qualcosa in comune: dietro c’è molto lavoro sporco. Nessuna squadra vince senza allenamenti, cadute, litigi e pacche sulle spalle; nessuna rivista arriva a cinquanta numeri senza notti insonni, idee scartate, risse in redazione, chilometri percorsi con la penna e con le gomme.

Due ricorrenze che ci ricordano la stessa cosa: il viaggio è bello proprio perché non è mai garantito. Può capitare di cadere, di imboccare la strada sbagliata, di rompere qualcosa nel posto peggiore, ma se lo spirito è giusto allora ogni volta si riparte. E noi, fidatevi, non abbiamo alcuna intenzione di fermarci qui.

Editoriale pubblicato su RoadBook 50