di Antonio Femia
Estate 2022: siamo in Grecia, sulla statale 82 che collega la piana di Sparta a Kalamata. La mia signora e io siamo in vacanza ma abbiamo un patto: Alessandra mi farà da fotografa per i tre giorni necessari a tirare fuori un reportage di viaggio, e in cambio negli altri giorni ci fermeremo ovunque e in qualsiasi momento lei desideri per un numero indefinito di bagni nell’acqua cristallina dello Ionio. Tutto sommato un sacrificio accettabile.
È la fine della prima giornata di lavoro e di foto ne abbiamo fatte davvero tante: già so che ci vorranno ore per scegliere quelle quattro o cinque, non di più, che riempiranno le prime pagine del servizio che vedrà la luce qualche mese più avanti su RoadBook 33.
La statale segue la gola scavata dal fiume Langáda che dà il nome al passo a quota 1.415: una giostra d’asfalto appena steso, scavata nelle rocce tra le cime austere del Taigeto, campo di gioco perfetto per la Moto Guzzi V85 TT che ci porta allegramente in giro.
Il sole sta iniziando la sua discesa, illuminando di traverso i rilievi che sembrano gonfiarsi come i muscoli di un culturista: sarebbe un vero peccato non fotografare dall’alto questo spettacolo.
Perciò tiro fuori il drone, ne dispiego i bracci, lo accendo e lui pratica le sue routine di avvio mentre aggancio il radiocomando al telefono. I droni DJI Air della prima versione hanno un’autonomia sufficiente e una buona qualità dell’immagine, ma soffrono di un’antenna GPS poco potente, che spesso implica tempi biblici per l’acquisizione del punto Home, ovvero le coordinate del punto di decollo: senza questo, il drone può solo alzarsi a due metri dal suolo.
Siccome ci troviamo sul fianco di una gola, il quadricottero non riesce ad agganciare un numero di satelliti sufficiente a calcolare la propria posizione. Ed è qui che arriva il colpo di genio, l’intuizione di una vita: lo faccio decollare a due metri di altezza per poi farlo volare al centro della gola in modo da dargli più cielo libero. Funziona: il segnale viene agganciato, lui registra la sua posizione Home e tutte le funzionalità vengono sbloccate.
Il drone vola alto e lontano, scatto un paio di foto buone ma quella perfetta è (come sempre) un po’ più in là, quanto basta perché salti il collegamento tra radiocomando e drone. Poco male: inizia la procedura di rientro e atterraggio automatico al punto Home; la pratica consolidata prevede di riprendere il pilotaggio non appena il radiocomando si ricollega al drone.
Dopo circa un minuto, sentiamo il ronzio delle eliche ma qualcosa non va: il drone non riceve più le istruzioni del radiocomando (o è quest’ultimo a non inviarle), per cui il rientro automatico non può essere interrotto e lui continua ad andare verso quello che ritiene il suo punto di decollo. Avete capito il colpo di genio, vero? Non ancora?
Il colpo di genio, l’intuizione di una vita
Ve lo spiego. Il suo punto Home è al centro della gola, il cui suolo giace però ad almeno 50 metri più in basso rispetto alla strada dove ci troviamo: se non riprendo il controllo, è lì che pensa di dover atterrare.
Panico: ora il drone è a pochi metri da noi ma irraggiungibile, mi guarda piccolo e bianco che sembra una colomba sacrificale. Con aria impassibile, piano piano scende sempre più di quota mentre io schiaccio inutilmente i tasti del radiocomando tra mille imprecazioni. Capisco che ormai non c’è nulla da fare e, disperato, lo guardo andare giù come John Connor bambino vide affogare nell’acciaio fuso lo stoico androide T-800, quello buono di Terminator 2.
In tutto questo Alessandra mi dice «Ma scusa, prova a chiedere a Marco o a Dario che magari loro sanno come fare». Oltre al danno la beffa: e certo, ora chiamo i miei compagni di redazione per farmi prendere per il culo in diretta!
Piuttosto devo muovermi prima che faccia buio: l’ultima speranza è di raggiungerlo a piedi perché ho la sua ultima posizione inviata. Raggiungo a fatica il letto del fiume formato da enormi massi, procedo per un centinaio di metri ma devo arrendermi al primo salto: i ganci da ferrata sulle rocce mi fanno capire che è un percorso tecnico e troppo rischioso.
Finisce così la gloriosa vita del mio primo drone, che mi ha insegnato una cosa importante: quando pensi di aver avuto un colpo di genio, respira e ripensaci bene perché potrebbe essere invece una gran cappellata.
Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 46